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I peccati della carne

Creato il 05 agosto 2010 da Paperoga

I peccati della carne

Dovunque tu sia perdonami, perchè ho peccato. Non so cosa mi è preso, non ho resistito. E sì che sapevo che c’erano dei rischi, sapevo che avrei potuto cedere, ma sapevo che in fondo ero forte. Invece una volta lì dentro non so che mi è preso. Io che l’ho tenuto sempre al mio posto, non c’ho visto più. Faceva caldo, sudavo, e quando fa caldo queste cose le controlli meno, ti saltano le inibizioni. Sono entrato in quel posto colorato e scintillante ed era lì, in esposizione, davanti a tutti, frutto provocante e proibito, e niente, mi sono fatto prendere dalle mattane, gli sono saltato addosso e me ne sono fatto penetrare.

Quasi quasi rimpiango non si trattasse di un ragazzo, nessuna vergogna ci sarebbe stata. Una vergogna è invece aver mangiato, dopo anni di sanità mentale, un sempre-identico-a-se-stesso panino spazzatura in uno dei tanti fast-food che ammorbano inspiegabilmente le nostre città.

A mia discolpa posso dire che non mangiavo dalla sera precedente, che di solito aspetto di arrivare a casa, che avevo fatto due ore di straordinario, che sbavavo letteralmente dalla fame, e che sono entrato per comprare in realtà una bottiglietta d’acqua. Ma poi quell’odore chimico mi ha preso in un momento di estrema debolezza, ed ho pagato preso ed addentato il panino più grosso e più grasso che fosse disponibile. Dopo averlo preso, mi sono seduto al tavolo e nel mentre ingerivo quella sbobba, per combattere i sensi di colpa montanti mi sono letto le informazioni nutrizionali degli alimenti. Ma che meraviglia, ma che sospettosone che sono stato, il solito ingiusto snob slow food che giudica senza sapere. Diamine, stando a quel foglietto stavo mangiando l’alimento più genuino e salutare del mondo.  Il pane ad esempio, io che pensavo si trattasse di pane precotto senza alcuna virtù, vengo a scoprire che i migliori fornai del mondo, appena usciti dalla bottega di un forno di provincia, portano ogni giorno tutti infarinati e rubicondi il pane fresco saltellando come i sette nani. E scopro che quella fetta di formaggio americano industriale (leggi sottiletta) farebbe invece invidia al casaro più inculato che popola una sperduta malga alpina. E le fette di insalata e di pomodoro? Vogliamo parlare di quell’unica, schifosa misera fetta di insalata e di pomodoro, che serve solo a rendere il panino più colorato e a dare l’illusione psicologica a migliaia di americani-medi-inside che stanno mangiando anche qualcosa di nutriente? E la carne? Diosanto Paperoga, ma cosa avevi nel cervello? Pensavi di trattasse della più inquinante, industriale e malsana filiera alimentare, quella delll’allevamento e del macello intensivo del bovino. E invece scopri che le vacche finite in questi panini sono arrivate qui direttamente dalle vaste colline vallonate chenneso’ della Bretagna francese, o di qualche valle prealpina, e la loro carne è stata sapidamente alimentata ad erba profumata e nulla più, bestiole poi macellate una ad una da un solerte macellaio rude ma pietoso.

Non è un panino questo che sto finendo, è la Gioconda commestibile. E poi vuoi mettere  la serietà? E’ una vita che ti rassicurano dicendo che i panini non consumati entro un tot minuti, loro li buttano via, per tutelare il cliente. Capito? Buttano via panini ancora incartati, non toccati da anima viva, e lo fanno per te! MA CAZZO VANTATEVENE ANCHE! Preparate panini in una catena di montaggio prima ancora che la gente ve li ordini, e poi se nessuno li compra li buttate. Ma chi cazzo ve li ha chiesti!? Ma come si può confondere un gesto folle e insensato come il buttare intenzionalmente e programmaticamente il cibo con un comportamento responsabile verso il cliente? Cazzo in questi posti si getta il cibo nella monnezza in cambio della realizzazione del sogno americano: dare allo scimpanzè che lo chiede il suo panino appena cucinato nel giro di qualche secondo. Diosanto, che cosa ho fatto? Ho mangiato davvero in questo posto?

Mi pulisco la bocca e le mani con qualche kilo di fazzoletti. So già che quello che ho mangiato lo cagherò, scusate la perifrasi, nel giro di mezz’ora: se è vero che il cibo indiano lo sudi, il junk-food dentro me diventa liquame nel giro di qualche decina di minuti. Sto per andarmene quando la visione del tavolo a fianco mi paralizza. Una famiglia felice, mamma papà, figlio dodicenne e figlia ottenne. Tutti e quattro addentano quelle spiacevolezze in forma di panino.

Ora, signori: io sono un moralista ma molto strano, dato che per me lo Stato non dovrebbe nè controllare nè vietare nulla al minore. Spetta alla famiglia intervenire, secondo come la penso e l’ho vissuta io. Però sta di fatto che allo Stato gli piace tanto vietare ai minori. Chi ha meno di 16 anni non può comprare alcool e sigarette, e non parliamo se mettono fuori un film dove una scopata dura più di 20 secondi, che te lo vietano ai 18 anni. Insomma un sacco di paletti. Però poi succede che qua dentro possono entrare torme di bimbi di 12 anni non accompagnati, a scofanarsi tutti i panini unti e le patatine strafritte che vogliono, senza che nessuno dica loro: hai mangiato troppo, forse è meglio che vai a casa, oppure sei troppo piccolo per mangiare sta roba, ma i tuoi che dicono? Cazzo quanto meno agli ubriachi da bar ste cose gliele dicono.

Non solo perdiana. Qui ci vengono le famiglie. Qui, quei decerebrati dei genitori quarantenni di oggi ci portano i figli a mangiare. In un posto in cui si butta il cibo intonso, in cui si distribuiscono grassi saturi in quantità industriali, in cui si offrono irresponsabilmente quantità super-size di cibo e bevande non salutari per qualche spicciolo in più, in cui si confeziona uno dei cibi più inquinanti del mondo,  i genitori ci portano i figli e se la ridono pure. Cristo, andrebbero chiamati i servizi sociali. O almeno, farlocchi educatori che non siete altro, siate coerenti e dite, mentre fate mangiare quella roba a vostro figlio: lo vuoi poi un whisky, figliolo? E tu, figliola, che ne dici di un sigaro? Quando usciamo ci andiamo ad ubriacare a stozze tutti e quattro E una bella canna non ce la toglie nessuno.

Se ne rimane, ne prendo una anch’io. Almeno se ne andrà quel saporaccio che già affiora in bocca, mentre lascio mesto e coglione questo posto.



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