Parlare di modelli gestionali per i musei mi ricorda il VI convegno ICOM a cui ho partecipato lo scorso novembre: anche in quell'occasione si è parlato di buona gestione, soprattutto in tempi di crisi, nel tentativo di pensare un modello gestionale vincente.
Ma in quell'incontro è mancato qualcosa. Sentivo che le strategie proposte non andavano bene fino in fondo. Ecco cosa mi mancava! La fondamentale distinzione tra grandi e piccoli musei, che a Milano non è stata tenuta nella dovuta considerazione, mentre era il tema centrale del convegno del MUV. Leggendo i resoconti di quell'evento, mi dispiace tantissimo non essere riuscita a parteciparvi.
Lo slogan del convegno può essere riassunto in "Piccoli fino in fondo", come sottolineato da Giancarlo Dall'Ara. Non dobbiamo dimenticarci che i piccoli musei sono la vera grande ricchezza museale dell'Italia, che in nessun altro Paese troviamo una capillarità di istituti della cultura che eguagli la nostra rete di musei civici e musei privati.
I piccoli musei hanno grandi problemi gestionali, i soliti problemi di risorse che non mancano neppure ai più conosciuti cugini maggiori, ma presentano anche tanti vantaggi sia dal punto di vista della gestione che della fruizione da parte del pubblico.
Innanzitutto il patrimonio conservato nei piccoli musei non è certo inferiore per qualità a quello dei grandi musei, ma la fruizione di esso è ben diversa nei due casi: al Louvre si può vedere la Gioconda da una distanza di 5 metri per pochi secondi, come durante un rituale di venerazione di una reliquia in una cattedrale medievale, mentre in un museo che ha molto meno di 25000 visitatori al giorno le opere possono essere apprezzate in maniera più intima e personale e per il tempo necessario al loro pieno godimento, senza fretta, magari anche comodamente seduti in poltrona.
Spesso quando si chiede a una qualunque persona, indipendentemente da età e grado di istruzione, di associare aggettivi alla parola "museo", esso risulta un luogo polveroso, stantio, scomodo, freddo, distante. Pensate ai detti quotidiani: dire di una persona che è "da museo" non è certamente considerato un grande complimento.
Penso che per ripensare la gestione di un qualsiasi museo si debba ripartire da questa considerazione: il museo non deve più essere percepito come polveroso, stantio, scomodo, freddo, distante, ma al contrario come un luogo di cultura a tutto tondo, di conservazione ma anche di produzione di sapere e conoscenza, vicino alla popolazione e al territorio, in relazione con il mondo esterno e non chiuso in sé stesso, non un luogo di rituali ma veramente vivibile e flessibile.
Perciò sono in piena sintonia con le conclusioni del convegno "I musei accoglienti": la strategia vincente è "puntare sulla cura dei dettagli, instaurare relazioni calde con la comunità e con i visitatori".
Il convegno è di qualche mese fa, ma l'argomento sarà sempre attuale. Il museo non dovrà mai smettere di ripensare sé stesso, il suo ruolo, la sua missione, i suoi rapporti con l'esterno, con i propri interlocutori. Bandiamo per sempre dagli istituti di cultura la staticità, il distacco, lo stantio. Ridiamo all'antico, alla cultura, al sapere le connotazioni positive che avevano una volta. Facciamo un passo indietro per andare più avanti.
Ma soprattutto, prima di cambiare i musei, cambiamo la percezione che la comunità ha di essi.
Sul sito web del convegno trovate molto materiale utile da scaricare, dai files pdf degli interventi al materiale didattico.