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I piccoli particolari contano più di tutto

Da Marcofre

«… i piccoli particolari contano più di tutto!… Sono proprio i piccoli particolari, di solito, a rovinare ogni cosa…»

È Raskolnikov che parla, o meglio che pensa. Siamo agli inizi di “Delitto e castigo”, che come sanno in tanti, parla di un omicidio (saranno poi due). Il protagonista se ne va in giro con un cappellaccio in testa che viene notato, e lui comprende al volo l’errore che sta commettendo. Concentrare l’attenzione su di sé, attirare gli sguardi significa mandare a monte il piano.

Non c’è una certa similitudine con la scrittura?

Qui si tratta di un ambito ben diverso, si capisce: ma possiamo trovarci comunque qualcosa di interessante anche per chi scribacchia. L’opera, grande o piccola che sia, si basa su un insieme di piccoli elementi che devono essere messi a punto, oliati, sino a consegnare un meccanismo il più efficace possibile.

Non perfetto, ma efficace, quello sì.

Una storia si sviluppa anche nelle ombre, negli angoli. Quando si entra in una casa che non si conosce, per quanto luminosa e grande sia la stanza che ci accoglie, già cominciamo a raccogliere informazioni su chi la abita. Con lo sguardo, i sensi attenti. Una storia non è che quello: una costruzione, un ambiente dove il lettore, fiducioso o diffidente non importa, entra. Non sa cosa attendersi, e di solito le sue aspettative sono sbagliate.

Spesso, l’impegno profuso nelle pagine non viene nemmeno notato. Quello che al contrario attira sempre l’attenzione, sono appunto i particolari. Questi non sono intercettati da tutti. Credo di aver già scritto in passato sul tipo di lettore che un autore deve cercare di avere: non quello che lo copre di complimenti, bensì quello capace di cogliere le sfumature. I piccoli particolari, appunto.

Lo scrittore sa con sufficiente precisione che la scrittura è un organismo che deve dimostrare la sua salute. Ci sono dei parametri da rispettare, e la grandezza della storia, la sua dimensione insomma, non rappresentano niente se non esiste una solida attenzione per i dettagli.

Ci si deve quindi allenare a comprendere l’importanza delle piccole cose. L’atteggiamento comune nei confronti di questo argomento si può riassumere in due posizioni.

La prima: al diavolo.
È tipico di chi non legge perché troppo impegnato a scrivere. Tanto ci sono gli editor. E comunque devo scrivere e basta, non ho tempo per queste cose.
La narrativa ridotta a una mostruosa produzione di parole.

La seconda: al diavolo.
È comune a chi scorre gli occhi sulla pagina, legge davvero tanto, ma in realtà non lo fa. Non ha ancora compreso che scrivere è anche tecnica (talento in quantità ciclopiche, quello sempre ed è inutile ribadirlo), e che per impararla occorre dimenticare parecchie cose apprese nel passato, e cominciare a re-impararne di nuove. Se vuoi fare il meccanico non basta avere la patente, e sapere distinguere la batteria, dal radiatore. Devi rimboccarti le maniche e smontare quello che si nasconde sotto il cofano.

Per molti questo modo di affrontare la scrittura è poco nobile. Non c’è niente di nobile nella scrittura. È inserita in un settore (l’editoria) che, come è giusto che sia, bada a tenere i conti in ordine. Altrimenti si chiude, e tanti saluti. È popolato di individui pieni di invidia e rancore, e anche se non hanno questi sentimenti, non sono affatto simpatici.

Se qualcuno pensa ancora che lo scrivere sia qualcosa del genere, dovrebbe rendersi conto che è come la vita di tutti i giorni, anzi peggio. Chi scrive parla della vita e questa ha la faccia di un pendaglio da forca. Sul serio.


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