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I pm: “Arcore era un bordello”. Su Montecitorio l’indagine è aperta

Creato il 28 giugno 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
I pm: “Arcore era un bordello”. Su Montecitorio l’indagine è aperta Le tariffe e i regalini variavano a seconda delle prestazioni, proprio come nel 1927. Nell’Anno VI EF (era fascista), si andava da 1 lira e 50 per una “semplice” alle 7 lire e 20 per un’ora di fuoco e passione con la “signorina”. Da quello che abbiamo letto sui giornali, ad Arcore un bacio alla statuina di Priapo valeva una farfallina acquistata presso la premiata ditta “Patacche&Patacche” del signor Muhammed Rashid; una palpatina veloce agli attributi, una collanina di perle di fiume; una slinguazzata poteva valere anche 500 euro mentre il contenuto della “busta del giorno dopo” era open: a discrezione del Sultano. Il procuratore aggiunto Pietro Forno non ha usato mezzi termini per descrivere il climax di Villa San Martino: “Arcore era un bordello, un sistema strutturato per fornire ragazze disponibili a prostituirsi”. Apriti cielo. Niccolò Ghedini ha parlato di “accuse infamanti e di termini inappropriati” quando egli stesso ha definito il Capo “consumatore finale”, l’avvocato Pecorella è andato su tutte le furie parlando di “visione distorta della realtà”, mentre i pm milanesi hanno tenuto a precisare che loro parlavano solo di “sistema bordello”, lo stesso che è andato di gran moda in Italia prima che la senatrice Merlin facesse chiudere i Casini (da non intendersi come un riferimento velenoso al Pierfy dell’Udc). Insomma, al Tribunale di Milano è andata in scena la prima udienza del “Mo.Mi.Fe” (che non sono le targhe di Modena, Milano e Ferrara ma le sigle di Mora, Minetti e Fede), il processo che vede imputati per “induzione e favoreggiamento della prostituzione, anche minorile”, i tre fornitori, selezionatori e tenutari della casa di tolleranza più famosa d’Italia. Assenti tutti e tre alla prima udienza, solo Lele Mora giustificato in quanto ospite del carcere di Opera per un altro reato, i vip berlusconiani sono stati rappresentati dai rispettivi legali i quali hanno ascoltato per l’intera mattinata le dichiarazioni spontanee di Chiara Danese e Ambra Battilani, costituitesi parte civile nel processo. Le due ragazze, a loro detta protagoniste involontarie di una serata da incubo, hanno descritto per filo e per segno quello che accadeva durante le cene galanti ad Arcore, quelle a base di tramezzini e Crodini, compresi i particolari decisamente scabrosi del dopo dinner, quando tutti e tutte facevano quel che cazzo gli pareva. I giudici del Tribunale di Milano hanno accolto la richiesta di “costituzione di parte civile” avanzata dai legali, avvalorando la tesi del danno morale e d’immagine subito a causa dell’unica festa alla quale Ambra e Chiara hanno partecipato. Incredibile il commento dell’avvocato Pecorella, il quale mica si è attivato per smontare la storia delle fresche maggiorenni, ma per sottolineare il fatto che se “tutte le ragazze si costituissero parte civile, il danno patrimoniale per il suo assistito (e per il premier, nda), sarebbe incalcolabile”. Secondo noi basterebbe la dichiarazione di un avvocato Pecorella in evidente crisi di panico, per mandare in galera tutti e tre i protagonisti di una squallidissima vicenda e il loro Capataz, ma la giustizia italiana che si pratica dalle parti del Tribunale di Milano è quanto mai “giusta” e quindi basata su fatti e riscontri oggettivi. E da casino a casino, quello che è accaduto e sta accadendo in questi mesi a Montecitorio non è molto lontano, come “sistema”, da Arcore. Anche nella sede della camera dei deputati ci si prostituisce, solo che si fa scientemente, consapevoli di farlo. L’unica differenza è che non ci si accontenta di una farfallina di bigiotteria ma si pretende un dicastero o almeno un sottosegretariato. Accordatisi sul “quantum”, il resto viene da sé. Occorre approvare una legge ad personam? Pronti. Bisogna modificare l’albo genealogico di Ruby? E che problema c’è. Per la pecunia questo ed altro. Ma chi sta messo veramente male dalle parti di Montecitorio è Giulietto Tremonti che, attaccato con violentissimi calci alle palle dalla sua stessa maggioranza, ha minacciato di dimettersi. Il prode Giulio ha in mente come rispondere al diktat europeo sulla tenuta dei conti italiani. Ancora lacrime e sangue, ancora tagli, ancora sacrifici. Blocco degli stipendi statali, pensione alle donne a 65 anni, auto blù di cilindrata inferiore ai 1400 cc., tagli ai privilegi dei ministeri e revisione dei vitalizi dei parlamentari, tagli delle disponibilità illimitate di spesa della presidenza del consiglio, tassazione delle rendite finanziarie escluse quelle dai titoli di stato, lotta serrata all’evasione fiscale con accertamenti continui della Guardia di Finanza soprattutto sui possessori di barche e di Suv, tassa una tantum sulla rendita da prostituzione diffusa ad Arcore, Palazzo Grazioli, Villa Certosa e Villa Gernetto, accertamento patrimoniale sugli appartamenti dell’Olgettina non denunciati al fisco in quanto dotazione della presidenza del consiglio, tassa straordinaria sui “toscani” di Bossi, le camicie di Calderoli, le cravatte di Castelli, l’occupazione indebita di suolo pubblico di Borghezio, le auto da corsa di Speroni. La Lega, per la prima volta da quando è iniziato il sodalizio con il superministro dell’economia, ha deciso di tirarsi fuori, non lo appoggerà più “a prescindere”, come ha fatto finora, con la scusa dell’innalzamento dell’età pensionabile per le donne. Tremonti è solo, Bossi ha il cerchio magico, Silvio ha Scilipoti ma Di Pietro chi c’ha? E soprattutto che c’azzecca con quello che abbiamo scritto? Niente. Ma Tonino c’azzecca comunque.

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