Verso fine novembre Emanuele Trevi, scrittore e critico letterario, ha commentato la decisione dell’Osservatorio francese per la laicità di modificare il calendario delle festività nobilitando la “Festa della Laicità“ del 9 dicembre, che ha sostituito quella “della Ragione”, troppo vicina al ricordo della ghigliottina illuminista di Danton.
Trevi l’ha definita «la personificazione di una virtù astratta, e dunque la creazione di una nuova divinità. Un vero laico non può che storcere il naso. A sostituire una religione con un’altra si rischia solo di far rimpiangere amaramente quella che è stata spodestata».
Vero, tuttavia lo stesso opinionista de “Il Corriere” ha mostrato di avere un’idea distorta di laicità, che addirittura censurerebbe i richiami della Chiesa cattolica all’agire politico. Ha infatti aggiunto: «Non devono esistere suggeritori esterni, di nessun genere, perché il potere che si fonda sull’invisibile, tenendo un piede in un Parlamento e un altro chissà dove, è sempre una specie di tirannia», ha spiegato. La Chiesa non deve opporsi all’eutanasia, ad esempio, perché si basa su «concezioni metafisiche del tutto opinabili». Eppure «noi devoti della laicità a questo punto facciamo il solito errore, che è quello di prendercela con il Vaticano. Ma i preti fanno solo il loro mestiere. Sarebbe molto difficile convincerli a presentarsi alle elezioni, invece di lavorare dietro le quinte. Non farebbero nessun danno se non ci fossero sempre stati quei politici così ignoranti da non capire che i poteri ufficiali non possono convivere con quelli non ufficiali».
La colpa è dunque dei politici cattolici, i quali dovrebbero abbandonare le loro convinzioni religiose ed ogni convinzione etica, appena varcata la soglia del Parlamento. «Un regime apertamente teocratico, come quello degli ayatollah, appare addirittura preferibile a questa sordida confusione di prerogative», afferma addirittura Trevi. «La stessa idea di un politico cattolico, o di un politico buddhista, o shintoista, mi sembra tremendamente nociva all’idea stessa di una vita democratica». Il politico e il cittadino possono solo essere atei, dunque, se vogliono partecipare alla vita democratica.
Domandiamo a Trevi: come non rischiare che le convinzioni dei politici siano influenzate e sostenute dalle varie associazioni atee/omosessuali/pro eutanasia al di fuori del Parlamento? Non sarebbero anch’esse l’ingerenza di un potere non ufficiale? Papa Francesco ha rifettuto proprio in maniera opposta: «A volte abbiamo sentito dire: un buon cattolico non si interessa di politica. Ma non è vero: un buon cattolico si immischia in politica offrendo il meglio di sé perché il governante possa governare». Anche il card. Carlo Maria Martini condivideva: «È perciò ovvio che movimenti di opinione e quindi anche confessioni religiose possano cercare di influire democraticamente sul tenore delle leggi che non ritengono corrispondenti a un ideale etico che a loro appare non semplice-mente come confessionale ma condivisibile da tutti i cittadini» (“In cosa crede chi non crede”, Liberal 1996).
Come contrappasso, il “Corriere” ha ospitato contemporaneamente all’articolo di Trevi anche la riflessione di Giovanni Belardelli, ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università d Perugia, il quale ha spiegato che l’iniziativa del governo francese «sembra poco laica e poco liberale. Poco laica, almeno per chi ritenga che la laicità non implica l’assenza o il divieto di manifestare la propria fede religiosa. La laicità del ministro francese è invece fondata su un principio di esclusione, giustificato dall’idea che la religione sia incompatibile con la libertà umana. Si tratta dunque di una concezione attivamente antireligiosa della laicità, che ha profonde radici nella storia francese degli ultimi due secoli e mezzo. In ogni caso è un’idea che contiene un concreto rischio di discriminazione. È altrettanto evidente che si tratta di un progetto ben poco liberale, perché animato da un’idea troppo vasta dei poteri dello Stato, certamente invasiva della libertà di individui e famiglie».
Ognuno saprà paragonare i due interventi e giudicare la posizione più moderata, matura e democratica. Segnaliamo un ulteriore articolo del prof. Belardelli, pubblicato vicino al 25 dicembre scorso, nel quale ha criticato la scelta di alcune scuole di vietare riferimenti cristiani alla festa natalizia in nome di un presunto “rispetto” per le altre religioni. Siamo sempre lì, ha spiegato: «Un’idea di laicità come assenza di riferimenti religiosi» e «non come incontro e confronto nello spazio pubblico tra religioni e culture, nel rispetto dei principi e delle leggi su cui si fonda la democrazia». Inoltre, ha concluso il docente di Storia delle dottrine politiche, «il messaggio che per i cattolici si lega alla nascita di Cristo rappresenta comunque uno dei sedimenti profondi della nostra identità collettiva. Benché in una società secolarizzata possiamo non averne più una chiara percezione, la democrazia vive di valori che sono per una gran parte di derivazione cristiana, a cominciare dal concetto di eguaglianza tra tutti gli esseri umani, che rimanda all’idea di una loro comune natura in quanto figli di Dio».
La redazione