Riesco ad afferrare solo le virgole, le sfumature di questo straordinario Paese in tre settimane qui. Posso dire di aver visto molto ma anche pochissimo, pur avendo visto rapidamente la Cappadocia e le sue chiesette, Safranbolu e le sue case ottomane e le montagnette impervie, un poco di mar Nero – ma il tempo non aiuta e oggi abbiamo sfiorato la tromba d’aria, anzi in cielo ce n’erano due che sembrava di stare in Friuli –, una cittadina misconosciuta ai turisti piena di casine cadenti di legno e di negozi e un fiume che sapeva di discarica in mezzo, Bartin, e naturalmente Istanbul.
Mi porto via i dettagli di questo posto, però. Tanta pulizia in ogni posto dove siamo stati, salvo un paio di bagni pubblici – in uno di questi ho pensato: se facendo la pipì qui non mi prendo niente sono salva per il resto dei miei giorni, e io non sono schizzinosa; gli occhi di Fatima venduti in ogni posto e in qualsiasi forma, che vogliamo come amuleto per la nostra nuova casa; i motorini guidati senza casco; le caraffe nei bagni pubblici usate per tirare l’acqua; i bagni turchi (non gli hammam), dove la doccia ha sotto un rubinetto ad altezza gambe, non c’è quasi mai la tenda ma solo una pendenza per dirigere l’acqua; i film strazianti anni settanta, con la presenza fissa di un cantante melodico, dove si oscurano le persone che fumano e in cui le scene di innamoramento hanno sempre una terza persona che sgrana gli occhi guardando uomo e donna che si innamorano (e il #belGabriele ci fa sopra spassosi doppiaggi); gli abiti da sposa fru fru nei negozi disposti tutti nella stessa strada, subito prima dei negozi che vendono burqa; i capelli ossigenati di alcune donne dal piglio occidentalissimo; i selfie fatti da donne col velo e donne in pantaloncini insieme; i tappeti messi ovunque, anche sui divani; i milioni di gatti che ho visto coccolati da tutti; e anche i cani, tutti di taglia medio grande, animali considerati impuri ma tollerati e controllati dai comuni, cani che non fanno branco anche se sono randagi.
Ma quello che ricorderò di più è la capacità di questo popolo di comunicare pur senza sapere una parola di inglese e la gentilezza innata – mi verrebbe voglia di spedire in vacanza studio alcune persone con cui ho a che fare, non per imparare il turco ma per imparare i modi da far commuovere chi si trova quotidianamente a che fare con l’aggressività dei milanesi. Forse ha a che fare con il valore islamico della carità, forse con una immediata affinità tutta mediterranea, non lo so: ma in questo meraviglioso casino che è questo posto sembra che tutto fili liscio (so che non è così, ma lasciatemelo credere).
Magazine Cultura
I racconti dell’AlhAnna: in tre settimane riesci a leggere solo le virgole
Creato il 08 settembre 2014 da AnnerrimaPossono interessarti anche questi articoli :
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