Si leggeva quasi del compiacimento nelle parole del giornalista di “Repubblica” che, registrando l’avanzata del secolarismo, alcune settimane fa annotava che – dopo «i primi anni del pontificato di Ratzinger», anni «di recupero, o almeno di freno» dello sgretolamento della società con «divorzi pressoché stabili» e «matrimoni religiosi meno rovinosamente in crisi (anzi, in lieve ripresa fra 2009 e 2010)» [1] – le cose, per la stabilità della famiglia in Italia, sono tornate a peggiorare.
Dispiace che siffatta tendenza non solo non venga riconosciuta e commentata con la dovuta gravità, quasi si trattasse di un fenomeno non negativo, ma addirittura sia alle porte, ad opera dei soliti Radicali, una raccolta di firme per l’introduzione del cosiddetto “divorzio breve” [2]. E dire che il divorzio è uno degli eventi peggiori, specie per quei bambini che ne sono spettatori e che accusano per questo pesanti conseguenze; conseguenze che – attesta la letteratura scientifica – incidono sul loro stato di salute, sulla loro crescita e sui loro comportamenti devianti e correlate difficoltà di inserimento sociale [3], fino a renderli più esposti, a loro volta, al rischio di divorziare una volta adulti [4].
Non solo: l’evento del divorzio, com’è stato accertato da accurate ricerche, triplica per i figli il rischio di rimanere vittima di abusi – che sale dal 3,4% al 10,7% [5] – e determina per costoro maggiori tentazioni suicidarie [6], concorrendo a determinare maggiori tassi di moralità prematura [7]. Come se non bastasse il divorzio appare correlato anche al rischio di povertà dei figli: secondo rilevazioni effettuate negli Stati Uniti, infatti, i bambini che vivono con un solo genitore hanno più possibilità, rispetto agli altri, di vivere in una famiglia al di sotto della soglia di povertà – 28% rispetto alla media del 19% – e di vivere in una casa in affitto, 53% rispetto al 36% [8].
Quanto sarebbe bello sapere che ne pensano di questi “benefici” del divorzio gli amici Radicali. I quali però, astuti come sono, risponderebbero che col “divorzio breve” le cose migliorerebbero rispetto ad oggi: tempi più rapidi per lasciarsi e meno stress e conseguenze negative. Ma sicuro, come no. Lo vadano pure a raccontare agli spagnoli, che questo innovativo istituto lo conoscono dal 2005 ed hanno già potuto apprezzarne i frutti: 1.343.760 di rotture coniugali fra il 2003 ed il 2012 (la quasi totalità determinate dal “divorzio breve”) con l’aumento vertiginoso di quelle conflittuali – furono il 35,52% del totale nel 2004, sono state il 40,74% nel 2012 [9]. Nel frattempo i divorzi, nel loro insieme, continuano a crescere: furono 124.702 nel 2011, sono stati 127.362 nel 2012 (+2,13%) [10]. Morale: in Spagna oggi finisce un matrimonio ogni 4 minuti [11].
Un dato che certifica non solo, evidentemente, il fallimento del “divorzio breve”, ma dello stesso divorzio come istituto idealmente filantropico e liberatorio ma in realtà generatore di violenze e sofferenza. Il che è perfettamente in linea con le evidenze che da molti anni a questa parte attestano per coloro che divorziano, per esempio, maggiori tassi di morbilità cronica per disturbi nervosi [12] nonché, come conseguenza alla solitudine e alla sofferenza vissute, più alti tassi di malattie coronariche, ictus, polmonite, cancro, cirrosi epatiche, incidenti automobilistici e suicidi [13]. Del resto, se pensiamo che già Émile Durkheim (1858 – 1917), sociologo non certo cattolico, riscontrava «l’alto numero dei suicidi nei paesi a divorzio diffuso» [14], non ci vuole molto a capire quanto questo istituto rappresenti una vera e propria piaga sociale.
Alla luce di così tanti riscontri della pericolosità della rottura coniugale per l’equilibrio della società, urge – pur nella consapevolezza che la vera medicina è rappresentata dalla necessità di un lavoro educativo – correre ai ripari. Per esempio seguendo le indicazioni di organizzazioni come Family Watch, che ritiene di poter incidere in una riduzione dei divorzi fino al 40% attraverso quattro percorsi strategici: 1) l’istituzione di un periodo di riflessione prima del divorzio; 2) la promozione della mediazione e consulenza familiare durante questo periodo di riflessione; 3) un rilancio della mediazione familiare; 4) la promozione, per le coppie, di meccanismi che possano prevenire il divorzio [15]. Gli scettici risponderanno che, anche se attuate, queste misure servirebbero a poco.
Può anche darsi, ma perché almeno non provare? Perché le Istituzioni, anziché introdurre quel “divorzio breve” – che poi tanto “breve” non è, visti i drammatici effetti che produce e che abbiamo in parte ricordato – che in Spagna sta letteralmente mandando al macero la famiglia, non investono finalmente nella tutela e nella promozione del matrimonio? Se solo ci fosse la volontà di procedere in questo senso, forse si potrebbe realmente invertire la rotta di una tendenza al precariato effettivo che sta facendo a pezzi la società. Nessuna illusione: purtroppo la situazione è assai grave e pure in continuo peggioramento, ma forse non tutto è perduto se si torna a scommettere con convinzione sul matrimonio. Basta però che lo si faccia, cessando di assecondare le voglie di quel relativismo culturale che non ammette l’esistenza di alcun bene al di fuori di quello individuale.
Note: [1] Smargiassi M. Meno battesimi, più divorzi cresce lo spread della laicità. «Repubblica», 23/3/2013; [2] Cfr. Staderini M. Cambiamo noi: dal 7 giugno referendum per il divorzio breve. «Il Fatto Quotidiano», 27/5/2013; [3] Cfr. Amato P. (2000) The consequences of divorce for adults and children. «Journal of Marriage and Family»; 62:1269–1287; Krishnakumar A. – Buehler C. (2000) Interparental conflict and parenting behaviors: A meta-analytic review. «Family Relations»;49:25–44; Macie K.M. – Stolberg A.L. (2003) Assessing parenting after divorce: The Co-Parenting Behavior Questionnaire. «Journal of Divorce and Remarriage»;39:89–107; Pruett M.K. – Williams T.Y. – Insabella G. – Little T.D. (2003) Family and legal indicators of child adjustment to divorce among families with young children. «Journal of Family Psychology»; 17(2):169-80; Rogers B. (1994) Pathways between parental divorce and adult depression. «Journal of Child Psychology and Psychiatry»; 35, 1289–1308; [4] Cfr. Wolfinger N.H. (2000) Beyond the Intergenerational Transmission of Divorce. «Journal of Family Issues»; 21: 1061-1086; [5] Cfr. Fuller-Thomson E. – Sawyer J.L. (2012) Is the cluster risk model of parental adversities better than the cumulative risk model as an indicator of childhood physical abuse?: findings from two representative community surveys. «Child: Care, Health and Development»; doi: 10.1111/cch.12024; [6] Cfr. Fuller-Thomson E. – Daltona A.D. (2011) Suicidal ideation among individuals whose parents have divorced: Findings from a representative Canadian community survey. «Psychiatry Research»; Vol. 187 (1–2):150–155; [7] Tucker J. S. – Friedman H. S. – Schwartz J. E. – Criqui M. H. – Tomlinson-Keasey C. – Wingard D. L. – Martin, L. R. (1997) Parental divorce: Effects on individual behavior and longevity. «Journal of Personality and Social Psychology»; Vol. 73(2): 381-391; [8] Cfr. Elliott D.B. – Simmons T. (2011) Marital Events of Americans: 2009 U.S. Department of Commerce Economics and Statistics Administration – «U.S. Census Bureau», p. 12; [9] Cfr. Evolución de la Conflictividad – Instituto de Política Familiar a partir de datos del CGPJ cit. in Instituto de Política Familiar. La Ruptura Familiar en España2012;1-25: 15; [10] Cfr. Instituto de Política Familiar. La Ruptura Familiar en España2012. p. 7; [11] Cfr. Ibidem, p. 19; [12] Elaborazione da: Istat, Indagine Multiscopo sulle famiglie italiane, vol. 10, Roma 1994; [13] Sbarra D.A. – Nietert P.J. (2009) Divorce and Death. Forty Years of the Charleston Heart Study. «Psychological Science»; Vol. 20 (1): 107-113; Tucker J. S. – Friedman H. S. – Schwartz J. E. – Criqui M. H. – Tomlinson-Keasey C. – Wingard D. L. – Martin, L. R. Ibidem; Stack S. (1990) The effect of divorce on suicide in Denmark, 1951-1980 «The Sociological Quarterly»; Vol. 31 (3): 359–370; Berkman L. F – Lester B. (1983) Health and Ways of Living: The Alameda County Study. New York: Oxford University Press; Tcheng-Laroche F. – Prince R. (1983) Separated and divorced women compared with married controls: Selected life satisfaction, stress, and health indices from a community survey. «Social Science and Medicine»; 17: 95-105; [14] Durkheim È. Opere, Utet, Novara 2013; [15] Cfr. Family Watch propone 4 mecanismos que evitarían hasta un 40% de los divorcios en España. religionenlibertard.com, 19/4/2013.