I rapporti tra Italia ed Egitto sono sempre stati tra i più forti all’interno del bacino del Mediterraneo e il rafforzamento degli stessi è cruciale per i ruoli di entrambi. La presenza italiana in Egitto, infatti, costituisce la testa di ponte per la proiezione verso il Nord Africa e il Medio Oriente del nostro paese. La relazione italo-egiziana, d’altra parte, ha un valore strategico anche per il Cairo, che vede nell’Italia la via più facile per accedere al mercato europeo.
Dopo le difficoltà economiche successive alla rivoluzione del 25 gennaio 2011, iniziano a vedersi i primi frutti del nuovo corso politico avviato dal presidente Al Sisi. Il PIL dell’ultimo trimestre 2013-2014 è cresciuto del 3,7%, rispetto al 2,5% dello stesso periodo nell’anno precedente. L’outlook dell’Egitto è passato, così, da “negativo” a “stabile” per le principali agenzie di rating. Al Sisi mira ad aumentare il volume degli investimenti esteri, grazie a una serie di progetti e programmi di sviluppo economico-territoriali, tra cui spicca la costruzione di una nuova tratta del canale di Suez, che ridurrà il tempo massimo di attesa delle navi da 11 a 3 ore e aumenterà il volume di traffico. Su questi programmi e sulla promessa di modernizzazione del paese si basa buona parte del consenso interno. Facile dedurre quali vantaggi potrebbe trarre l’Italia da tale contesto.
L’assenza di un tessuto imprenditoriale strutturato in Egitto, infatti, apre uno spazio rilevante per le aziende italiane, in grado di fornire le competenze tecniche e industriali, anche alla luce di un sistema produttivo complementare rispetto a quello egiziano e della vicinanza geografica. L’Italia dovrà, però, fare i conti con concorrenti agguerriti, primi fra tutti Russia e Cina. Le grandi compagnie di questi paesi hanno iniziato ad investire massicciamente soprattutto nel settore delle infrastrutture e dell’estrazione di materie prime, settori cardine per i gruppi italiani attivi in quest’area. In particolare, è preponderante il ruolo della Russia, che è stata, significativamente, scelta come meta della prima visita ufficiale all’estero compiuta da Al Sisi lo scorso agosto.
Per quanto riguarda la relazione commerciale fra i due paesi, parliamo di un interscambio totale di poco inferiore ai 5 miliardi di euro nel 2013. L’italia è la destinazione principale delle esportazioni egiziane (8,6% del totale nel 2012) ed è il quarto paese per le importazioni in Egitto. Nel 2013 il Cairo ha importato dall’Italia merci per poco meno di 3 miliardi di euro, ossia circa il 5% del totale delle importazioni egiziane. La maggior parte dell’export egiziano verso l’Italia è rappresentato dai prodotti energetici e dalla manifattura. Le esportazioni di prodotti agricoli, dopo l’accordo stipulato tra il Cairo e Roma, sono raddoppiate tra il 2011 e il 2013. I macchinari industriali costituiscono la voce più importante delle nostre esportazioni, ma molto significativi sono anche i settori della chimica, dell’arredamento e della metallurgia. Non si possono non menzionare, poi, le esportazioni italiane di materiale di armamento (oltre 17 milioni di euro), di cui quasi 11 milioni consegnati fino ad agosto del 2013, nonostante il caos politico che sconvolgeva l’Egitto in quei mesi. Solo allora, infatti, sono state adottate “misure restrittive”, come precisato nella Relazione del Consiglio degli Affari Esteri.
Roma e il Cairo puntano, adesso, a raggiungere un interscambio commerciale di sei miliardi di euro entro il 2016, come annunciato dal vice ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, nel corso della conferenza stampa del Business Council italo-egiziano, in occasione della visita a Roma del presidente Al-Sisi. Il mercato egiziano, forte di una popolazione di 90 milioni, assieme al miliardo e mezzo di persone legate all’Egitto tramite gli accordi di libero scambio firmati con Stati arabi, africani e del Mercosur costituisce un importante sbocco per l’economia italiana, come sottolineato dal Ministro del Commercio e dell’Industria egiziano Mounir Fakhry Abdel Nour. Inoltre, con un costo della manodopera compreso tra gli 80 e i 250 euro, spesso più qualificata rispetto agli altri paesi emergenti, e un prezzo molto basso delle materie prime e dell’energia, l’Egitto è sicuramente un partner vantaggioso per le aziende italiane. Al momento sono impegnate nel paese arabo 878 imprese italiane, un dato inferiore a livello europeo solo a quello di Gran Bretagna e Germania. Per citare solo le maggiori, nel settore energetico troviamo Eni, Enel, Edison; nelle costruzioni Impregilo; nell’impiantistica Ansaldo e nella produzione di materie prime Italcementi, ma non mancano le aziende tessili, le compagnie di comunicazione e i gruppi alimentari. Quest’anno l’interscambio tra Italia ed Egitto è tornato ai livelli record del 2012, dopo il calo del 2013 provocato dalla crisi politica egiziana, sfociata nella destituzione dell’ex presidente, Mohamed Morsi, ad opera dell’esercito.
Tuttavia rimangono alcuni ostacoli da superare. In primo luogo, vi è la necessità di garantire la sicurezza per le aziende e per il loro personale, che ancora manca in diverse zone del paese. Si pensi al Nord del Sinai, dove opera il gruppo qaedista Ansar Bayt al Maqdis, slegatosi di recente dalla vecchia rete di Al Qaeda per entrare a far parte dello Stato Islamico di al-Baghdadi. In secondo luogo, vi è il ritardo nei pagamenti da parte dello Stato e dei privati egiziani. Nel settembre 2013, ad esempio, l’Egitto aveva ancora un debito con l’Eni di 800 milioni di euro e recentemente è stato reso noto che il Cairo deve corrispondere alle aziende petrolifere internazionali quasi 4 miliardi di euro. Nonostante ciò la compagnia energetica italiana ha deciso di avviare la produzione di gas in un grande giacimento nel Nord del paese, dove verranno estratti 6 milioni e 500 mila metri cubi di gas a partire dal 2015. Anche Edison ha siglato recentemente un accordo di 136 milioni di euro per sfruttare alcuni importanti giacimenti petroliferi e di gas, a pochi chilometri dalla costa del Sinai settentrionale. A tal riguardo si è espresso il Ministro del Commercio e dell’Industria Abdel Nour, che si è impegnato davanti ai membri del Business Council a fare tutto il possibile “[...] per migliorare il clima economico e facilitare gli investimenti” in Egitto.
Potrebbe non essere così facile però. Non è solo la situazione nel Nord del Sinai ad affliggere l’Egitto in questo momento. L’assoluta permeabilità del confine con la Libia, infatti, costituisce un altro fronte caldo per il Cairo. La guerra civile libica ha spaccato il paese e le sue istituzioni in due parlamenti e due governi, permettendo l’avanzata degli islamisti, concentrati ora nella città di Derna, a pochi passi dal confine egiziano. A livello regionale, la Libia è diventata terreno di scontro tra due schieramenti: da un lato la Turchia e il Qatar al fianco degli islamisti e dall’altro l’Egitto e l’Arabia Saudita a sostegno del parlamento di Tobruk e dell’ex Generale Haftar, uniti contro il nemico comune costituito dalla Fratellanza Musulmana. L’Egitto, di fronte alla minaccia islamista, si è mosso bombardando ufficiosamente Bengasi lo scorso ottobre, creando una zona cuscinetto a Gaza e addestrando truppe locali in funzione anti-islamista. L’ingresso dell’Egitto nella campagna anti-Isis lanciata dagli USA ha subito ricevuto il plauso dell’alleato atlantico con milioni di dollari in aiuti militari.
Al Sisi mira, così, a riguadagnare per il suo paese un ruolo di leader in Medio Oriente, rafforzando la sua posizione sia all’esterno che all’interno. La militarizzazione delle grandi città, costellate di posti di blocco e riempite di militari è solo uno degli strumenti messi in atto dal governo ossessionato dalla sicurezza e dal controllo del territorio. Nell’Egitto di Al Sisi, infatti, la polizia è autorizzata a sparare sui manifestanti in base alla legge 107 varata nel 2013; nelle carceri si pratica la tortura, anche su commissione (la maggior parte delle vittime del programma di rapimenti guidato dalla CIA e rivelato negli ultimi giorni dal Senato USA è finita proprio nelle prigioni egiziane); la stampa è imbavagliata e le università sono blindate dalle forze dell’ordine. L’ultimo decreto presidenziale (n. 136/2014) ha posto sotto la giurisdizione militare gran parte delle strutture pubbliche del paese, come le università, le centrali elettriche e le ferrovie. Ne conseguirà un sicuro aumento nel numero di processi a carico di civili celebrati nelle corti militari, dove sono già stati giudicati 12.000 civili dal 2011, come denunciato da Human Rights Watch. Le vittime di tali provvedimenti non sono solo i Fratelli Musulmani – diventati legalmente una formazione terroristica e decimati a causa di arresti di massa e centinaia di condanne a morte – ma anche le opposizioni laiche che nel 2011 avevano guidato la rivoluzione di piazza Tahrir. Lo stesso Mohammed Morsi, deposto nel 2013 dall’esercito, si trova in carcere e rischia la condanna a morte.
Sull’altra sponda del Mediterraneo, Al Sisi però sembra aver indossato i panni di nuovo gestore dei flussi migratori verso l’Europa, così come avevano fatto prima di lui Mubarak, Gheddafi e Ben Ali. Ruolo che, se svolto opportunamente, porterà sicuramente l’Italia e l’Europa a chiudere entrambi gli occhi sulle violazioni dei diritti umani compiute dal governo egiziano in nome della Realpolitik e di interessi superiori. A tal riguardo, l’Italia ha mantenuto una politica coerente nonostante l’alternarsi dei governi. Esiste, infatti, dal 2007 un accordo di collaborazione che rende possibili le operazioni di riammissione tra i due paesi, con voli diretti da Catania e da Roma al Cairo, in cambio di qualche migliaio di posti riservati ai lavoratori egiziani nelle quote ammesse annualmente con i decreti flussi. Questo accordo ricalca il precedente Accordo di cooperazione in materia di flussi migratori bilaterali per motivi di lavoro, siglato al Cairo il 28 novembre 2005 dall’allora Ministro del lavoro Roberto Maroni. Il numero di lavoratori egiziani riusciti ad entrare regolarmente in Italia attraverso un visto di lavoro non si conosce, ma con i decreti flussi ridotti drasticamente non c’è da essere ottimisti al riguardo. Tale politica è andata a tutto vantaggio delle organizzazioni criminali dedite al traffico e allo sfruttamento dei migranti. Non è possibile stimare neanche quanti siano gli egiziani finiti nelle maglie di questo traffico, ma si può presumere con ragionevole certezza che sia nettamente maggiore rispetto al numero degli egiziani riusciti ad entrare regolarmente.
I rapporti politico-economici, però, procedono speditamente su altri binari. Il governo italiano, infatti, per bocca del vice Ministro Calenda ha affermato di essere pronto ad aprire la fase due dei rapporti bilaterali, fase che avrà inizio con la prossima visita di Matteo Renzi al Cairo, prevista per fine febbraio 2015. Dopo aver risolto i problemi delle aziende italiane in Egitto, è il momento per l’Italia di ampliare gli scambi commerciali. L’ultimo Business Council ha già permesso di siglare diversi nuovi accordi in campo industriale, tecnologico, dell’innovazione e del commercio.
Nel frattempo, la fase repressiva del governo egiziano, inaugurata dalla strage di piazza Rabaa al Adaweya il 14 agosto 2013 in cui sono morti oltre 600 sostenitori di Morsi, ricorda fin troppo i momenti peggiori della dittatura di Mubarak. Come quest’ultima, anche il regime di Al Sisi tradisce la sua intrinseca debolezza proprio nell’implementazione di misure draconiane e leggi sempre più liberticide. Questo stato di cose potrebbe rappresentare una spinta per nuove e vecchie forme di resistenza, che qualora trovassero il modo e lo spazio di risalire in superficie rimetterebbero nuovamente in discussione i rapporti tra le due sponde. Chissà che quella settentrionale stavolta se ne avveda prima che sia troppo tardi.