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I santi pericolosi, di Stefano Brusadelli

Creato il 10 gennaio 2015 da Funicelli
I santi pericolosi, di Stefano Brusadelli Incipit
Ogni volta che mi assale la tentazione di giudicare un essere umano, torno con la memoria alla vicenda che ebbe inizio con la morte di Orazio Toccacieli.Da allora sono passati molti anni, e non faccio più parte della polizia di Stato.[..] Comunque quegli eventi hanno ulteriormente rafforzato in me la convinzione che, se è già arduo comprendere le azioni umane a causa dell'insondabile complessità dei meccanismi che le muovono, giudicarle è ancora più difficile.
Alla presentazione del libro a Erba, alla rassegna “La passione per il delitto” mi aveva colpito quello che l'autore aveva detto di Roma, la sua città: siamo stato ossessionati dall'immagine che ne hanno dato film come “La grande bellezza” o “La dolce vita”.
Roma è una città a macchia di leopardo, estesa: una metropoli che finisce, poi trovi campagna e poi ancora metropoli.
Roma ha delle periferie dure ma meravigliose, perché disseminate di belleze archeologiche. C'è un contrasto tra la bruttezza della nuova edificazione col fascino dell'archeologia.
Roma è una città di solitudini, perché le vite esplodono, in zone lontanissime.
Roma è una città ingannatrice perché città del potere: potere esercitato qui da migliaia di anni”.
"Roma ha delle periferie dure ma meravigliose, perché disseminate di bellezze archeologiche. C'è un contrasto tra la bruttezza della nuova edificazione col fascino dell'archeologia.Roma è una città di solitudini, perché le vite esplodono, in zone lontanissime.Roma è una città ingannatrice perché città del potere: potere esercitato qui da migliaia di anni”.
Le periferie, la solitudine, il potere e l'impronta che hanno lasciato anni di papato e di potere della Chiesa. Sono proprio questi i temi toccati da questo romanzo, del giornalista Stefano Brusadelli.
Che ricorda, per il modo in cui la voce narrante va avanti e indietro col tempo, il romanzo di Eco "Il nome della rosa".Ma qui siamo a Roma, nei tempi moderni, in una città moderna. Anche se cupa, piovosa, dove vediamo apparire il sole solo nelle ultime righe.
Una Roma che, con le sue chiese, con i suoi dipinti di martiri e di santi, da una impronta profonda alla storia.  
“Sono convinto che un luogo eserciti su chi ci vive la stessa potenza dell'acqua che scava il calcare, lo modella, lo riempie di meandri e gallerie. Il luogo in cui viviamo è corresponsabile dell'intima geografia della nostra anima.Roma, che solo la superficialità può spingere a definire città dolce, in realtà gronda d'angoscia, e di sangue. Dietro la sua morbidezza – la rotondità delle cupole e delle piazze – preme un'anima cupa, oppressiva, tagliente.Ogni facciata di chiesa incombe come un memento della miseria umana, e delle sue debolezze. Ogni croce ricorda che esiste una giustizia alla quale non è possibile sottrarsi. Nella penombra dei luoghi di culto è allestito il più impressionante museo dedicato al dolore e all'efferatezza che si possa trovare al mondo: crocifissioni, flagellazioni, squartamenti”.
I Santi pericolosi è raccontato in prima persona, e a distanza di anni dai fatti, dall'ex ispettore di polizia Antonino Buonamore: è la storia di un'indagine sul suicidio di Orazio Toccacieli, un prete spretato che viveva da solo, dopo la morte della moglie, nella sua casa di vicolo della Colomba.
Viene trovato morto annegato nelle acque del Tevere e della sua morte si deve occupare proprio Buonamore.
Uno di quei poliziotti che fanno questo mestiere non per il fascino della divisa ma per la possibilità che da di poter entrare nell'animo delle persone.
“Non ho mai avuto la pretesa di agire per la causa della giustizia perché cosa sia la giustizia, o addirittura se possa esisterne una, è una faccenda che ho sempre considerato troppo più grande di me.Però mi affascina la complessità della natura umana; e in particolare il lato nascosto che c'è in ogni individuo”.

Buonamore, che sta anche attraversando un brutto momento personale nel rapporto con la moglie, ha modo di entrare nella vita dell'ex prete Toccacieli andando a raccogliere le poche testimonianze dei vicini, del figliastro, dei suoi parrocchiani. Una persona solitaria, che girava senza calzini sempre con uno zaino in spalla e una vecchia macchina fotografica Polaroid. Uno che si era fatto crescere i capelli, si lavava con acqua fredda, mangiava pane duro e girava senza calzini. Uno che, si direbbe oggi, faceva vita da santo.
Ma è frugando tra gli oggetti della sua vita, nella sua casa, che Buonamore scopre un particolare che lo colpisce: dei ritagli di giornale, di casi di omicidio rimasti insoliti. E una lista di nomi, di persone senza nessun collegamento apparente tra di loro.
Un avvocato, un commerciante di orologi, un fruttivendolo … Una curiosità morbosa o un interesse per i delitti del passato, non risolti?
Buonamore, con una certa testardaggine, cerca di trovare il nesso tra il morto e queste persone, andando ad interrogarle.
Ma quando poi alcune di queste persone vengono uccise, l'ispettore capisce che potrebbe aver trovato una pista ed inizia a porsi delle domane. Cosa legava Toccacieli a queste persone, che pure abitavano in quartieri diversi e non si conoscevano?
Assistiamo, come lettori, ad un doppio naufragio: della sua vita sentimentale, senza che Buonamore faccia molto per impedirlo, per una sua ignavia personale. E al naufragio dell'inchiesta, che viene stoppata, per l'inconsistenza della pista e perché altri casi gli vengono assegnati.
Ma la volontà di non mollare e anche la curiosità di mettere assieme i pezzi dell'enigma portano Buonamore a continuare una sua indagine personale.
Comprende come l'ex prete avesse una sua visione del peccato e della penitenza , molto dura, frutto di una vita cupa, rabbiosa, solitaria:
«Lui aveva una sua particolare idea del peccato. E questa idea secondo me gli ha sempre creato problemi coi superiori. Se avesse potuto riscrivere a suo piacimento il decalogo di Mosè, credo si sarebbe limitato a un solo comandamento: “Aiuta chi ti chiede aiuto”.»

Ci sono delle colpe veniali sulle quali si è c'è troppa severità da parte della Chiesa, altre colpe gravi, sulle quali invece c'è troppa indulgenza.
Buonamore arriverà, al termine del racconto, a scoprire la difficile verità attorno alla morte del prete, e alle morti delle persone nella lista. Quei “santi pericolosi” che danno il titolo al libro: persone con una loro visione del peccato e della giustizia. Per cui non sempre, non per tutti i peccati, si può aspettare la fine del mondo e il giudizio finale. Una giustizia che si sostituisce, o sovrappone, a quella del codice penale che, spesso, per talune specie di reato o per talune specie di persone, deve fermarsi un passo prima.
Sul sito Libreriamo ho trovato questa intervista all'autore:
Com’è nata l’idea di questo libro?Prima de “I santi pericolosi” ho scritto un libro di racconti per Vallecchi, “Piccole atrocità”. Dopo di questo ho sentito il bisogno, anche su invito di Mondadori, di cimentarmi in un romanzo, che è un genere più complesso e più duro. La mia passione per il noir, invece, è cosa antica.
Al di là dell’intreccio che ha meritato a questo libro la classificazione di noir, comunque, ho voluto scrivere un romanzo in cui i veri protagonisti sono la solitudine, che è la condizione in cui vivono gran parte dei personaggi e che spiegherà anche parte dell’intreccio, e il drammatico problema della giustizia, tema che affascina gli esseri umani da millenni. In questa vicenda si confrontano almeno tre visioni della giustizia: quella del codice penale, una certa visione della giustizia divina e l’idea di giustizia del protagonista, un uomo complesso e irresoluto che nella sua vita non è riuscito a fare i conti con molte questioni, tra cui appunto quella della giustizia, che pure dovrebbe servire a un ispettore di polizia.

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