Il sabato successivo, alla sera, feci il mio ingresso all’ ”Western Counties”, un pub sito nel quartiere di Paddington, di cui Nancy mi aveva dato l’indirizzo, descrivendomelo come un ritrovo per giovani che amano la musica e il divertimento.
C’era ancora poca gente nel locale: qualche avventore sorseggiava pigramente un drink seduto al bancone del bar, massiccio e lunghissimo, dando le spalle all’ampio salone che completava il piano terra del locale; al centro del locale, due giocatori, gessando meticolosamente le loro stecche, si accingevano a cominciare una partita di biliardo e, non molto discosti, quasi a ridosso della parete opposta al bancone della mescita, sopra un’ampia pedana in legno scuro, spiccavano tre chitarre elettriche sfolgoranti, una stupenda batteria, alcuni microfoni ed altra strumentazione da concerto.
Regnava un’aria di intimità e di rilassatezza. Pagai una mezza pinta di birra e mi accinsi a fare un giro di perlustrazione. Per delle ampie scale, di lato alla pedana che ospitava gli strumenti musicali, giunsi al primo piano; da lì, sporgendomi appena dalla balaustra in legno che ne delimitava tutta la circonferenza calpestabile, ebbi un colpo d’occhio della situazione sottostante; dal mio punto di osservazione potevo vedere, di fronte, il bancone del bar e, proprio sotto di me, i giocatori che studiavano ed effettuavano i loro colpi di stecca e le palle che ruotavano vorticosamente sul panno verde; se mi sporgevo ancora un poco, spingendo lo sguardo più sotto, scorgevo la pedana con gli strumenti musicali ancora in penombra.
Delle brevi scalette, alle mie spalle, portavano ancora più su, a degli ampi ed accoglienti “separès”, con dei tavolini circolari in legno e dei divani con lo schienale sulla parete che, assieme a degli sgabellini in legno, fornivano i numerosi posti a sedere. Anche dai posti più prossimi alle scalette (in pratica quelli laterali) si riusciva a scorgere il piano sottostante.
Svuotai la mia birra e dall’inserviente, che accolse con un sorriso il mio boccale vuoto, ebbi la conferma che quella odierna era la serata del concerto. Uscii quindi a telefonare a degli amici che non vedevo da un pezzo. Mi rispose Giampiero, un ligure che avevo conosciuto a casa di Tommaso, venuto su a Londra nel suo stesso periodo. Con Tom condivideva la lunga militanza italiana nei gruppuscoli della sinistra extra-parlamentare; lo stesso travagliato percorso ideologico: dalle confuse militanze rivoluzionarie tra i castristi, maoisti, marxisti-leninisti alle matrici di ispirazione nostrana, dall’ideologia meno vaga e più concretamente calate nella realtà italiana, come Lotta Continua, Servire il Popolo e Autonomia Operaia, sino alla graduale ma inesorabile disillusione; all’amara e sonora sconfitta. E senza neppure attendere l’appello del ’77 si era ritirato anche lui dal fronte, a leccarsi le ferite, a ricostruirsi.
Al contrario di Tom, però, l’antica rabbia politica e rivoluzionaria di Giampiero si era dissolta nella nebbia londinese e se per gli altri della sua generazione Londra era stata un ponte verso la filosofia orientale, lui, invece, aveva continuato a coltivare, in italiano e in inglese, le sue letture giovanili; ed io non disdegnavo davvero di intrattenermici in lunghe dissertazioni serali, a casa sua, dopo cena, quando fra una pipata e l’altra, sprofondato in un’ampia e comoda poltrona, con una pacatezza disarmante, ma nel contempo accattivante, mi profetizzava ancora l’avvento al potere del proletariato come soluzione unica ed inevitabile dei conflitti di una società capitalistica già da tempo ormai alle corde. Ed era tanta e tale la forza e la sicurezza delle sue argomentazioni che io, neanche una volta, neppure per un solo istante, fui capace di dubitare che Giampiero avrebbe esitato, al momento della resa dei conti, a rinunciare alla sua posizione, già di fatto acquisita, di dirigente in ascesa di una società multinazionale di trasporti, con il sorriso di chi si sente vincitore.
Ma ciò che del suo passato bohemien e rivoluzionario sembrava sopravvivere in lui in modo più autentico e forte, era la sua ragazza Michelle.
Michelle era una parigina. i due si erano conosciuti a Londra e stavano insieme da sempre. Il suo fascino non era quello banale o comunque ordinario che di solito circonda certe francesi dal fisico longilineo, un po’ diafane, dai tratti del viso eternamente ingenui e gentili; esso le derivava piuttosto da quella sua aria allegra e spensierata, sintomatica di chi riesce a vivere giorno per giorno, senza particolari patemi d’animo legati a vicende sentimentali, a questioni di lavoro o magari a complicazioni di tipo esistenziale. Tanto più che questo suo atteggiamento di disincantata non chalance, se non proprio di condotta volutamente informale e controcorrente, risaltava maggiormente per contrasto con il comportamento quasi serioso e sicuramente calibrato e formale che Giampiero andava ormai sempre più assumendo.
Michelle, d’altronde, era una pittrice e si guadagnava da vivere vendendo i suoi quadri e facendo ritratti a Portobello e negli altri grossi mercatini rionali londinesi; le sue frequentazioni quindi consentivano a Giampiero di non perdere del tutto i contatti con un certo tipo di cultura e di mentalità alternative, alle quali, anche se non nel profondo del suo essere, era stato comunque legato.
-“ Chi non muore si risente!” – fece Giampiero al telefono ricambiando il mio saluto- “Cosa hai fatto in tutto questo tempo?”
-“ Ho trovato un pub che assomiglia ad un anfiteatro!” – risposi io ridendo- “ e stasera si esibisce un gruppo Rock con le palle quadrate. Che ne dici?”
-“ Dico che stavamo pensando di andare qui all’angolo a farci due birre; però l’idea di un po’ di buona musica mi starebbe anche meglio. Ma dove sei tu?”- mi chiese poi traducendo dall’inglese, come talvolta gli accadeva.
-“ Io sono qui alla stazione di Paddington, in un negozio di giornali.
-“ Ho capito. Da Notting Hill è un passo. Aspettami che vengo di certo. Magari verranno anche Michelle ed una sua amica parigina che sta ospite da noi. Ci vediamo subito!”
E arrivò davvero subito; il tempo di sfogliare distrattamente qualche rivista sotto gli occhi arrossati e attenti del titolare dell’edicola, un pakistano di mezza età, dalle guance grosse e carnose.
-“ Ciao!” – mi fece con un gran cenno Giampiero, mentre giungeva, in lontananza, dall’unica barriera di uscita della Metropolitana. Anche Michelle, che già conoscevo, mi salutò con la mano per aria. Mi presentarono quindi a Martine, una ragazzetta non tanto alta, che vestiva dei jeans su una camicetta bianca ricamata, delle scarpe “Adidas” bianco-verdi ed un nastrino azzurro alla fronte che le cingeva i capelli castani dal taglio corto. Abbozzò un sorriso sui denti un po’ irregolari, pronunciando un “hello!” strettissimo e arrestandosi con una mano che teneva il giubbotto riverso sulle spalle e le dita dell’altra infilata nella tasca dei jeans, con il solo pollice di fuori. Dopo alcuni convenevoli chiesi a Giampiero notizie di Tommy che non avevo più visto da un pezzo.
-“ No, è un pezzo che non ci si vede; l’ultima volta venne a trovarci con la ragazza, ma stava davvero giù!”
-“ Eh, sì! Sta maturando importanti decisioni; forse rientra giù, in Italia” – dissi io in tono forzatamente scherzoso.
-“ Se è per questo io questa decisione l’ho già maturata!” – Lo guardai interdetto.- “ Come, non sai ancora la novità?” – proseguì arrestando la marcia, meravigliato della mia stessa sorpresa. –“ Da poco mi hanno contattato dei dirigenti italiani della nostra ditta; pare che abbiano intenzione di aprire un ufficio di rappresentanza proprio a Genova, nella mia città, pensa un po’, e stanno cercando gente esperta e fidata che parli bene l’inglese per allargare la rete dei contatti e quindi……….”
-“ Ehi! Punti davvero in alto, allora. Magari diventerai anche tu un ‘Big Boss’! – feci io , canzonandolo.
-“Macché, non so neppure se mi piacerà. Ho bisogno di cambiare aria, questo sì! E’ una vita che sto qui a Londra e penso che il mio viaggio sia concluso. Eppoi a te non è mai venuta l’idea di avere un figlio?”
-“ Che c’entra questo?” – interloquii riprendendo il cammino che aveva un’altra volta interrotto. – “ Il bambino te lo puoi fare anche qui, se vuoi.”
-“ No! Non sarebbe lo stesso. In questa città c’è troppo caos. Non è l’ambiente ideale: con tutto questo razzismo che c’è ancora, la violenza, lo smog, capisci? Eppoi ho bisogno di un’altra situazione; anche a Michelle farebbe bene cambiare aria…….”
Si voltò istintivamente all’indietro e si videro sopraggiungere Michelle e Martine che parlavano fitto, fitto, tenendosi sottobraccio.
-“ Cosa sono questi segreti?”- gli chiese Giampiero.
-“Niente che ti riguardi” – rispose Michelle con quella sua aria, allo stesso tempo impertinente ed ingenua.
Intanto eravamo giunti in prossimità del pub che si stagliava ad angolo su due strade; di fronte al lato destro, il confine estremo di una piccola piazza delimitava un ampio parcheggio per motociclette dove ora si notava un gran numero di mezzi in sosta; moto di tutte le cilindrate, marchi e colori, con una prevalenza di medie cilindrate della Triumph e della Honda di colore rosso e blu.