Breve profilo storico
La legislazione elettorale del Regno di Sardegna, che caratterizzò – con alcune limitate modifiche il primo ventennio dell’Italia unita – fu definita quasi contestualmente all’emanazione dello Statuto albertino (4 marzo 1848), con il Regio editto sulla legge elettorale 17 marzo 1848, n. 680.
La normativa elettorale del 1848 era sostanzialmente censitaria e riservava il diritto di voto ai soli cittadini di sesso maschile di età superiore ai 25 anni che possedessero il requisito dell’alfabetismo e pagassero un’imposta diretta complessiva (censo) di almeno 20 lire per i residenti del continente. Per gli elettori residenti in Sardegna e per alcune categorie (artigiani, industriali, commercianti) il requisito del censo era sostituito da forme di accertamento induttivo della ricchezza, basati sul valore locativo dei beni immobili da essi posseduti.
Si derogava al requisito del censo per nove categorie di elettori (magistrati, notai, professori delle università e delle scuole regie e provinciali, ufficiali e liberi professionisti) ammessi nelle liste elettorali sulla base di un criterio di capacità intellettuale.
Il sistema durò sino al 1882, esteso e adeguato alle porzioni di territorio che il Regno di Sardegna, trasformandosi in Regno d’Italia, andava via, via acquisendo negli anni 1859-1861.
Al termine di un complesso iter parlamentare il sistema elettorale del Regno d’Italia fu interessato da una complessiva riforma, con la legge 22 gennaio 1882, n. 593, relativa soprattutto ai requisiti per l’elettorato attivo, la legge 7 maggio 1882, n. 725, relativa all’introduzione dello scrutinio di lista, ed e il r.d 13 giugno 1882, n. 796, che ridefinì la mappa dei collegi.
La nuova normativa fu poi trasfusa nel Testo unico approvato con r.d. 24 settembre 1882, n. 999.
La riforma elettorale del 1882, strettamente connessa al passaggio del timone del paese dalla Destra alla Sinistra storica, realizzò diverse importanti innovazioni.
Sul piano del diritto all’elettorato attivo, il limite di età previsto dalla previgente legislazione fu abbassato da 25 a 21, mentre fu mantenuto il requisito dell’alfabetismo. Il criterio del censo non costituì più il titolo principale per l’elettorato attivo, perché questo fu concesso, indipendentemente dal censo, a tutti gli alfabeti che avessero superato le prove del corso elementare obbligatorio (o equivalenti), o fossero in possesso del titolo di studio superiore, agli impiegati pubblici (tranne gli uscieri e gli operai), a coloro che avessero tenuto per un anno l’ufficio di consigliere comunale o provinciale, di giudice conciliatore, di presidente o direttore di società commerciali, agli ufficiali e sottufficiali in servizio o in congedo. In tal modo, la platea degli elettori crebbe da 621.896 a 2.049.461.
In base alla nuova normativa il Regno fu diviso, accorpando i collegi esistenti, in 135 collegi plurinominali, che eleggevano 508 deputati.
- Maggioritario: uninominale (1892-1913)
Già nel corso degli anni ’80 del XIX secolo furono discussi diversi progetti per l’abolizione dello scrutinio di lista, criticato da più parti per non aver realizzato una reale dinamica competitiva tra partiti.
Con la legge 5 maggio 1891, n. 210, fu, dunque, stabilito il ritorno al collegio uninominale, aprendo la strada ad una nuova tabella dei collegi (approvata con r.d. 14 giugno 1891, n. 280).
Un anno dopo, la legge 28 giugno 1892, n. 315, modificò le norme sul ballottaggio, stabilendo che fosse eletto al primo turno il candidato che avesse ottenuto più di 1/6 dei voti degli elettori del collegio ed almeno la metà dei suffragi validamente espressi (al netto delle schede nulle).
Con la riforma del 1891-1892, la legislazione elettorale dell’età liberale trovò la sua sistemazione definitiva, grazie anche alla sedimentazione dei dibattiti politici ed accademici degli anni precedenti, nel senso dell’affermazione di un sistema uninominale maggioritario a doppio turno, sulla linea di quello costruito già all’avvio del regime rappresentativo nel 1848.
Con l’attivarsi, all’inizio del Novecento, di più complesse dinamiche politiche negli anni della prima evoluzione industriale dell’Italia, maturò nella classe dirigente liberale la scelta di intervenire nuovamente sul sistema elettorale.
Anche se con la riforma elettorale del 1913 non viene superato del tutto l’ostacolo del censo per il riconoscimento dell’elettorato attivo, furono introdotte non di meno importanti novità come il rimborso spese e l’indennità per i deputati, formalmente esclusa dallo Statuto albertino.
Fu invece rinviata, con l’approvazione di un ordine del giorno nel dibattito del 2 maggio 1912, la discussione sull’introduzione del suffragio femminile.
- Proporzionale (1919-1921)
Preparata da una intensa discussione parlamentare, la legge 15 agosto 1919, n. 1401, successivamente rifluita nel Testo unico 2 settembre 1919, n. 1495, introdusse il sistema proporzionale nella legislazione elettorale italiana, dopo che la legge 16 dicembre 1918, n. 1495, aveva introdotto il suffragio universale maschile, dichiarando elettori tutti i cittadini maschi di almeno 21 anni di età.
La riforma elettorale proporzionale, affermatasi con larga maggioranza sia alla Camera che al Senato, corrispondeva ad una profonda evoluzione del quadro politico, con l’ormai avvenuta affermazione dei grandi partiti di massa (socialisti e cattolici) all’indomani della Prima guerra mondiale.
In base alla nuova legge elettorale, l’elettore era chiamato ad esprimere la propria preferenza di lista su schede a stampa obbligatorie che riportavano i contrassegni dei partiti, presentate, in ogni collegio da un numero di elettori variabile tra i 300 ed i 500.
L’elettore poteva esprimere da uno a quattro voti di preferenza per i candidati della lista votata .
Ai fini della formazione della rappresentanza, il territorio del Regno d’Italia fu diviso (r.d. 10 settembre 1919, n. 1576) in 54 collegi.
Dopo aver ripartito i seggi spettanti a ciascuna lista nell’ambito del collegio, i seggi venivano assegnati, nell’ambito delle liste, ai candidati che avevano la cifra individuale più alta, risultante dalla somma dei voti di lista con i voti di preferenza.
La nuova legge elettorale proporzionale fu applicata per la prima volta nelle consultazioni elettorali del 16 novembre 1919, che segnarono il ridimensionamento delle forze politiche di area liberale e l’affermazione del Partito socialista e del Partito popolare.
Strettamente connessa alla nuova legislazione elettorale fu una profonda modifica del Regolamento della Camera (1920-1922), con la previsione dei gruppi parlamentari e del sistema delle commissioni permanenti, composte di membri designati proporzionalmente dei gruppi, che, all’interno del processo legislativo, sostituì il vecchio sistema degli uffici.
- Premio di maggioranza (1924)
All’indomani della marcia su Roma, fu varata una profonda revisione della legislazione elettorale, sfruttando le persistenti divisioni tra i partiti proporzionalisti ed i nostalgici del collegio uninominale. Al termine di un complesso iter parlamentare si giunse così all’approvazione della c.d. “legge Acerbo” (legge 18 dicembre 1923, n. 2444), in seguito rifluita nel Testo Unico 13 dicembre 1923, n. 2694. La nuova legge elettorale conteneva due importanti innovazioni rispetto alla legge elettorale proporzionale in vigore dal 1919: la creazione di un collegio unico nazionale, diviso in sei circoscrizioni, e, soprattutto, l’attribuzione alla lista vincitrice di un di un assai cospicuo premio di maggioranza.
La nuova legge prevedeva in sostanza l’adozione del sistema maggioritario plurinominale all’interno di un collegio unico nazionale.
Tra le innovazioni più rilevanti della legislazione elettorale del 1923 si segnala l’abbassamento dell’età per l’elettorato passivo alla Camera da 30 a 25 anni.
La “legge Acerbo” fu applicata nella sola tornata elettorale del 6 aprile del 1924, che segnarono la decisiva affermazione delle liste del Partito Fascista (64,9% dei voti), grazie anche alla confluenza nella Lista Nazionale (c.d. “Listone”) promossa da Mussolini, di esponenti della Destra liberale e cattolica, ed alla incapacità delle altre forze politiche a costruire un cartello elettorale alternativo.
- Sistema plebiscitario (1929-1934)
Pochi mesi dopo le elezioni del 1924, fu promossa una nuova riforma elettorale, con la legge 15 febbraio 1925, n. 122, poi recepita nel Testo unico 17 gennaio 1926, n. 118, che reintrodusse il collegio uninominale.
La riforma elettorale non ebbe però applicazione perché, con il consolidarsi del regime fascista, maturarono altri modelli di rappresentanza, che, ormai, escludevano una reale competizione tra partiti contrapposti. Con la legge 17 maggio 1928 n. 1029 ed il Testo Unico 2 settembre 1928, n. 1993, fu dunque introdotto un nuovo sistema elettorale di tipo plebiscitario, come già allora lo si definì.
- Camera non elettiva (1939)
Con legge 19 gennaio 1939 n. 129, il Fascismo abbandonò del tutto il principio dell’elettività dei membri della Camera, sostituendo alla Camera la Camera dei fasci e delle corporazioni, composta da membri di diritto, in quanto titolari di cariche nel partito o in enti statali o corporativi, che decadevano allo spirare della carica rivestita.
- Consulta non elettiva (1945)
- Nella fase della transizione costituzionale, fu istituita un’assemblea provvisoria, in attesa della possibilità di indire regolari elezioni politiche: la Consulta nazionale.
Il decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1945, n. 146, assegnava alla Consulta il compito di formulare pareri su questioni generali e sui provvedimenti legislativi del governo, che era obbligato a sentire il parere della Consulta su alcune materie quali bilancio, imposte e leggi elettorali.
La composizione della Consulta fu stabilita con decreto legislativo luogotenenziale 30 aprile 1945, n.168. I consultori, inizialmente nel numero di 304, non erano elettivi ed erano espressivi dei partiti del CLN, di organizzazioni sindacali e professionali, della classe politica prefascista
- Costituente: proporzionale (1946)
Le elezioni dell’Assemblea costituente si svolsero a suffragio universale, dopo che, con decreto legislativo luogotenenziale 2 febbraio 1945, n. 23, fu concesso il voto alle donne. Il decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74, stabilì che le elezioni avvenissero sulla base di un sistema proporzionale, fondato su collegi plurinominali a liste concorrenti.
- Proporzionale (1946-1993)
- Il sistema elettorale che caratterizzò buona parte della storia repubblicana fu stabilito, per la Camera, con la legge 7 ottobre 1947, n. 1058, che introdusse un sistema elettorale proporzionale (giocato su circoscrizioni plurinominali concepite come sezioni del Collegio unico nazionale) a liste concorrenti, con la possibilità di esprimere tre o quattro preferenze, secondo l’ampiezza dei collegi. La Camera dei deputati fu eletta in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila.
- Misto: maggioritario e proporzionale (1994-2005)
Dopo un primo referendum per la riduzione delle preferenze esprimibili per l’elezione dei deputati e la possibilità di esprimere la preferenza con indicazione del numero di lista, svoltosi con esito positivo il 9 giugno 1991, il 18 aprile 1993 si svolse, con esito positivo, il referendum per l’abrogazione di alcune disposizioni della legge elettorale del Senato (legge n. 29 del 1948 e successive modificazioni) per sopprimere la norma che prevedeva l’elezione nel collegio uninominale solo previo conseguimento di un elevato quorum del 65% dei voti, determinandosi altrimenti la ripartizione dei voti su base proporzionale. Il risultato della consultazione referendaria indusse il Parlamento all’approvazione della legge 4 agosto 1993, n. 276 (relativa al Senato) e della legge 4 agosto 1993, n. 277 (relativa alla Camera), che introducevano sia per il Senato sia per la Camera, un sistema elettorale misto.
Il sistema era caratterizzato dall’elezione di tre quarti dei deputati e tre quarti dei senatori con sistema maggioritario a turno unico nell’ambito di collegi uninominali. I restanti seggi venivano attribuiti con il sistema proporzionale: alla Camera ripartendoli, nelle 26 circoscrizioni, tra le liste concorrenti che avessero superato la soglia del 4 per cento dei voti in ambito nazionale; al Senato, ripartendoli tra gruppi di candidati in proporzione ai voti conseguiti nei collegi di ciascuna regione dai candidati non eletti.
In particolare, con la legge 4 agosto 1993, n. 277, le norme per l’elezione della Camera dei deputati furono fortemente modificate introducendo un sistema misto in luogo di quello interamente proporzionale fino ad allora in vigore. La nuova disciplina portava ad eleggere 475 deputati con il sistema maggioritario in altrettanti collegi uninominali; 155 erano invece eletti con il sistema proporzionale, ripartendoli cioè in proporzione ai voti ottenuti dalle liste concorrenti presentate nelle 26 circoscrizioni.
Per la parte maggioritaria in ciascun collegio era senz’altro proclamato eletto il candidato nel collegio che aveva ottenuto il maggior numero dei voti.
Tecnicamente assai complessa era invece l’attribuzione dei 155 seggi per la quota proporzionale. La distribuzione dei seggi fra le liste avveniva a livello nazionale, in base alla somma dei voti ottenuti nelle circoscrizioni. Stabilito il numero dei seggi che spettavano alle diverse liste, l’accertamento dei candidati di ciascuna lista che risultavano eletti avveniva nelle circoscrizioni. Non tutte le liste erano ammesse alla ripartizione proporzionale, ma solo quelle che avevano ottenuto nell’intero territorio nazionale almeno il 4% dei voti validi (così detta “clausola di sbarramento”).
Due leggi di revisione costituzionale (17 gennaio 2000, n. 1, e 23 gennaio 2001, n. 1) hanno in seguito attribuito ai cittadini italiani residenti all’estero il diritto di eleggere, nell’ambito di una circoscrizione Estero, sei senatori e dodici deputati. Essendo rimasto invariato il numero complessivo dei componenti le due Camere, il numero dei seggi da distribuire nelle circoscrizioni nazionali – detratti quelli da assegnare nella circoscrizione Estero – si è quindi ridotto a 618 per la Camera ed a 309 per il Senato. La legge 27 dicembre 2001, n. 459, ha attuato la previsione costituzionale disciplinando l’esercizio del voto (per corrispondenza) e l’attribuzione (con sistema proporzionale) dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero.
- Proporzionale con premio di maggioranza (2006-)
La legge 21 dicembre 2005, n. 270 ha introdotto un sistema per l’elezione della Camera dei deputati di tipo interamente proporzionale, con l’eventuale attribuzione di un premio di maggioranza in ambito nazionale, che sostituisce il sistema misto precedentemente in vigore.
617 deputati sono eletti nel territorio nazionale in proporzione ai voti ottenuti dalle liste concorrenti presentate nelle 26 circoscrizioni; un deputato viene eletto con metodo maggioritario nel collegio uninominale della Valle d’Aosta; i restanti 12 deputati sono eletti nella circoscrizione Estero secondo le modalità stabilite dalla legge 27 dicembre 2001, n. 459, e dal relativo regolamento di attuazione (D.P.R. n. 104 del 2003).
I seggi erano ripartiti proporzionalmente in ambito nazionale tra le coalizioni di liste e le liste che abbiano superato le soglie di sbarramento previste dalla legge. Sono ammesse alle ripartizione dei seggi soltanto le coalizioni che abbiano raggiunto almeno il 10% del totale dei voti validi e, al loro interno, le liste che abbiano ottenuto il 2% dei voti, le liste rappresentative di minoranze linguistiche con almeno il 20% dei voti della circoscrizione e la lista che abbia conquistato più voti tra quelle che non hanno conseguito il 2% dei voti. Partecipano inoltre alla ripartizione dei seggi le liste che non fanno parte di alcuna coalizione, a condizione che abbiano avuto almeno il 4% dei voti a livello nazionale.
Alla coalizione di liste (o alla lista non coalizzata) più votata, qualora non abbia già conseguito almeno 340 seggi, veniva attribuito un premio di maggioranza tale da farle raggiungere il numero di seggi in questione.
(2) continua…