I sogni segreti di Walter Mitty, USA, 2013, Regia di Ben Stiller
Recensione di Alberto Bordin
Ben Stiller non è mai stato aggraziato; frizzante, provocatorio, divertente forse (non però quanto è convinto di esserlo), ma sempre un diplomato alla scuola del grottesco. Ma che sia stata la maturazione o un miracolo natalizio, “I sogni segreti di Walter Mitty” è un prodotto di vera grazia.
Non servono tante parole a dipingere questo piccolo gioiello, quindi ci terremo all’essenziale. È una storia estremamente semplice e per questo semplicemente efficace. Walter è un impiegato della rivista LIFE e ci lavora da 16 anni sviluppando rullini all’ombra di bui scaffali; la sua vita è una glaciale monotonia, come un pacco d’ufficio mai aperto, parrebbe quasi non abbia un passato, che la sua vita sia cominciata col cominciare del film, tanto che il suo profilo internet per incontri di coppia è vuoto: mai stato in nessun posto particolare, mai fatto nulla di particolare. Walter è un individuo che nonostante la pulizia asettica della propria persona sembra spandere polvere e vecchiume da tutti i pori, passivo in maniera a dir poco disarmante, e per questo carico di una fervida immaginazione, libero e prigioniero della sua stessa fantasia che gli farà anche vivere l’impossibile, ma poi lo frena nel probabile. Sarà proprio questo individuo che dovrà partire verso l’ignoto in una folle avventura: Walter percorrerà la Groenlandia, e poi l’Islanda, e poi toccherà al Pakistan, fino in cima al K2 per recuperare l’ultima foto, il capolavoro del più importante fotografo vivente di LIFE, nonché copertina del numero di chiusura della rivista.
Lo sviluppo della storia è semplice, appunto, a tratti quasi prevedibile, ma quanto è bello sentirsela raccontare! È come una vecchia storia che già conosciamo, arricchita di un po’ di dettagli e tanto gusto e poi messa in bocca a nostro nonno, a quello che le storie le sa raccontare bene. E allora siamo tutti lì ad ascoltarlo, anche quelli che non volevano, che passavano di lì per sbaglio per altre mansioni, ma che quando hanno messo orecchio nel racconto non ne sono più usciti, intrappolati anche loro nel dolce scorrere di parole. Si tratta solo di quell’abilità estremamente rara di saper mettere tutte le cose al loro posto; magari non sono le più originali, o le più ricche, o le più numerose, ma tutte hanno senso di esistere, e costruiscono un tassello alla volta una storia più profonda di quanto ti aspettassi. Questo Ben Stiller racconta finalmente di un uomo, e in modo così affettuoso e tenero che non sembra più nemmeno lui – eppure è lui, non lo si può confondere. Di più non c’è da dire, risulta quasi difficile spiegarlo.
Si tratta forse di una delle più belle apologie alla fantasia che il cinema ci abbia offerto, perché noi fantastichiamo con spontaneità, ci viene naturale perché siamo fatti per il fantastico e l’avventura, ma la vita è avventurosa e fantastica se veramente vissuta; e viverla è in fondo l’unico modo di rimanere giovani … anzi di tornare ad esserlo, ed essere di nuovo uomini, perché gli uomini non sono fatti per la vecchiaia. E allora viviamo la vita; e la fantasia non ci serve più.