Qualcuno sembra essere addirittura sorpreso del successo commerciale del film "I Soliti Idioti", che nel solo giorno di esordio nei cinema italiani ha incassato circa 800.000 euro, surclassando tutti i concorrenti nazionali, con sale esaurite ed entusiastiche manifestazioni di gradimento da parte del pubblico.
Eppure che il film avrebbe avuto molto successo era facilmente prevedibile, essendo la trasposizione in un lungometraggio di una serie televisiva trasmessa da Mtv da ormai 3 stagioni e sempre con successo, alimentato anche grazie alla diffusione degli episodi via internet, facendo della serie un vero cult della generazione cibernetica e dei suoi due interpreti, che vestono i panni di quasi tutti i personaggi, idoli dei giovanissimi.
Cose evidentemente sconosciute a quanti davanti al fenomeno che si sono trovati sotto gli occhi sono rimasti quasi sgomenti da quello che stavano vedendo, uno spettacolo al quale evidentemente non erano preparati, testimoniando quanto certi metre a penser siano lontani dal mondo che li circonda.
Certamente stupefatta è rimasta la ex direttora de L'Unità Conchita De Gregorio, che riposta per un attimo l'attenzione da Berlusconi, ha espresso tutta la sua "preoccupazione" sul fatto che i giovani preferiscono andare a vedere i "Soliti Idioti" invece che il film americano di Paolo Sorrentino, "This Must Be The Place,con uno Sen Penn di incalcolabile bravura, dice la giornalista.
Non è stata però solo la De Gregorio a sollevare perplessità sui gusti giovanili, perché molti sono stati i critici cinematografici ad aggrottare le ciglia di fronte alla pellicola con Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio, che non era stata ritenuta degna di figurare tra i film trasmessi nell'ultimo Festival romano del cinema, che ha così perso un'occasione per dare un sussulto di interesse per la manifestazione, trascorsa tra l'indifferezza del mondo intero e la noia di chi vi ha partecipato.
Del resto il destino della commedia cinematografica è quello di essere snobbata dalla critica, tanto da non meritare nemmeno il nome di Commedia Italiana, ma piuttosto quell'appellativo di "all'italiana" che ne sottolinea la pochezza dei contenuti e lo scarso valore culturale, salvo poi essere riabilitata ed esaltata nei decenni successivi, anche a causa dell'interesse della critica straniera, più attenta nelle valutazioni e meno legata a preconcetti ideologici.
Ma si sa che è difficile per chi è stato cresciuto a film cecoslovacchi con sottotitoli in bulgaro accettare di considerare degni di attenzioni creazioni apparentemente così sconclusionate, aggressive, spesso volgari: troppo fuori dagli schemi per gli amanti dell'impegno e del "messaggio" ad ogni costo.
Per questo motivo dobbiamo continuare a sorbirci il morente cinema italiano dei nostri giorni, tenuto in vita artificialmente grazie ai contributi pubblici e a domandarci come diavolo ha fatto Aurelio Grimaldi, tanto per fare un nome, a girare ben 12 film, tutti più o meno di scarso successo.
per questo motivo dobbiamo continuare a sorbirci manifestazioni come Il Festival del Cinema di Roma, che per chi se lo fosse perso quest'anno ha premiato il film "Un Cuento Chino" del regista argentino Sebastian Borensztein, per il quale nessuno riesce ancora a trovare il motivo della sua esistenza. Per di più la manifestazione sta sempre più prendendo la forma della festa rionale, con porchettata finale e ospiti presi di peso dai salotti televisivi di rai e mediaset.
Quest'anno poi mi ha fatto veramente venire in mente l'episodio di "Tre Passi Nel Delirio" girato da Federico Fellini nel 1968, quel "Toby Dammit" e del quale scrissi tempo fa, quando ho visto Richard Gere con la Lupa Capitolina in mano e non ho potuto fare a meno di chiedermi se anche a lui hanno promesso un Ferrari, pur di farlo intervenire alla manifestazione.
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