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I Talenti e l’Invidia

Creato il 15 dicembre 2010 da Albix

talentiHo conosciuto l’invidia da grande. Da giovane sapevo, sì, che esiste, quella grande tormentatrice dell’animo umano, ma non immaginavo fosse così diffusa.

Ho scoperto, addirittura, che c’è gente che si sente male anche fisicamente, a causa dell’invidia provata nei confronti di amici, colleghi e conoscenti vari.

Leggendo il Vangelo sono arrivato alla conclusione che non si deve essere invidiosi perchè quando riusciamo in qualcosa nella vita, spesso siamo riusciti a mettere a frutto a frutto i talenti  che Dio ci ha assegnato e di cui ci chiederà di rendere il conto il giorno in cui ci troveremo alla Sua presenza.

Certo, qualcuno potrebbe obiettare che le umane fortune non sempre si costruiscono onestamente, mettendo a frutto i talenti divini. Qualche mariuolo potrebbe, ad esempio, sostenere che egli è dotato di scaltrezza e di furbizia, e quindi è giusto che le metta a frutto quelle doti che si ritrova.

Ed è pur vero che molti ricchi, devono la loro ricchezza, non già a meriti propri, ma a meriti altrui (per esempio, colui che eredita una fortuna di famiglia, dallo zio d’America o magari diviene ricco vincendo al lotto).

Ma tutto ciò non inficia la mia convinzione.

Non nutro dubbi sul fatto  che i talenti di Dio vadano messi a frutto con onestà, nel rispetto delle leggi di Dio e di quelle umane.

Inoltre sono convinto che la  ricchezza materiale, qualunque sia la sua provenienza, acquista un senso diverso e superiore, agli occhi di Dio e non solo, se gestita con un occhio altruista al debole , al povero, al bisognoso e a quelle iniziative filantropiche che sono di servizio nell’interesse pubblico.

Personalmente, tuttavia, pur dietro la mia scelta di insegnare e svolgere la professione di avvocato (o magari proprio per questo) ho preferito coltivare i talenti che mi son visto assegnare, in una  maniera più diretta all’accumulo di quelle ricchezze che non appassiscono mai, piuttosto che di quelle ricchezze che solitamente suscitano la bramosia e l’invidia degli animi pavidi.

Ecco perchè ho privilegiato la poesia e la scrittura, pur memore del virgiliano “carmina non dant panem”.

Non di meno talvolta avverto quasi un alone di invidia che mi aleggia attorno.

Vorrei tranquillizzare queste apprensioni livorose, peraltro mal riposte.

La mia scelta di fare la professione forense, completa idealmente la mia funzione docente, arricchendola di quei contributi di aggiornamento e di casistica concreta che come docente non avrei avuto a disposizione; intanto perchè lo Stato non vuole pagare un centesimo di aggiornamento ai suoi dipendenti insegnanti (che così sono costretti ad aggiornarsi a spese loro; cosa però assai ardua, da coprire con gli emolumenti percepiti;).

Certamente, poi, c’è anche l’orgoglio di svolgere una professione agognata e voluta   sin dalla prima gioventù; la voglia di mettere a frutto una laurea faticosa e impegnativa (ecco i talenti che rispuntano!); e perchè no? anche l’esigenza di integrare i non eccelsi emolumenti stipendiali; ma sempre come conseguenza del  lavoro svolto, mai come premessa indispensabile dell’incarico.

Si tranquillizzino ordunque gli irrequieti invidiosi e riflettano sui versetti 14-30 del Capitolo 25 del Vangelo secondo Matteo.

 


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