I Telchini (in albanese Telhinë) sono demoni che vivono sotto la superficie terrestre, ma anche nelle profondità del mare e sulla terraferma. A causa di questa loro molteplice dislocazione, li consideriamo come esseri anfibi che hanno forme strane e illimitate possibilità di trasformazione. Nell’isola di Rodi, che è considerata la loro patria, li chiamavano maghi. Erano proprio loro [i Telchini] che, secondo le leggende, fecero sprofondare sul fondo del mare l’isola di Rodi, facendola poi riemergere in superficie molto più tardi delle altre isole. Il mito dei Telchini è collegato con quello del fuoco. Gli studiosi li considerano una personificazione delle forze vulcaniche marine; nell’antichità erano indicati come la causa principale dei terremoti nelle terre isolane.
Un terremoto marino può causare lo sprofondamento di un’isola negli abissi, oppure può fare emergere un’isola nuova (vedi Santorini). Questo, evidentemente, è stato uno dei principali motivi all’origine delle leggende sui Telchini. Si diceva che fossero anfibi, che manipolassero la lava vulcanica ed erano considerati maestri nella lavorazione dei metalli; si temeva il loro magico potere di far sprofondare o riemergere un’isola. Tutte queste leggende ebbero origine dall’osservazione delle attività vulcaniche nelle isole; furono proprio queste caratteristiche a dare il nome a questi demoni, che vivevano per lo più negli abissi marini.
Una possibile interpretazione etimologica del loro nome si può far risalire al verbo ϕελγειν (felgein) della lingua greca, che significa attrarre, stregare; però la lingua albanese ci fornisce un'altra, più limpida, soluzione.
Telchino (Telhinë nella lingua albanese) è un nome la cui prima parte deriva dal verbo albanese del (uscire), e la cui seconda dall’altro verbo albanese hin (entrare). In questa maniera un Telchin (Telhin) è colui che entra ed esce (dall’acqua), cioè un essere anfibio; oppure, secondo un’interpretazione ugualmente valida, una figura mitologica in grado di causare lo sprofondamento negli abissi di un’isola oppure il suo riemergere. La parola poi è stata trasformata da delhin (telchin) in telhin.
P. Karolide, nella sua introduzione dell’opera “La storia del popolo greco”, dell’autore K. Papariguli (prima parte, p.96) , collega la parola Telhi alla parola armena del (medicina).
Senza voler necessariamente propendere per la variante albanese, occorre ancora rilevare le analogie del nome con la parola Delfis/delfino, che si ricollega al termine greco δελϕυοσ – υοσ (delfyos – yos = utero della donna). Come dire, cioè, che la parola delfino, in albanese delfin, potrebbe aver avuto origina da del (esce) e fus (entra), rispecchiando il comportamento del delfino che, al contrario degli altri pesci, entra ed esce (dall’acqua).
Un'altra versione etimologica è quella che ci dà Robert Graves nel suo libro “La mitologia greca”, a pagina 215. Graves, nella sua opera, ha dato interpretazioni etimologiche a dir poco impossibili. Per chiarire l’origine della parola in questione, egli fornisce, infatti, una spiegazione che viene qui riferita senza nulla togliere o aggiungere, per evidenziare come scrittori europei anche affermati interpretino le antiche culture.
[…] Telchin (Telhin): i grammatici greci riconducevano questa parola al termine ϕελγειν (felgein), che significa attrarre, stregare. Ma visto che la donna, il cane e il pesce rappresentavano motivi ricorrenti nei dipinti della Scilla Tirrena, cosi come in quelli di Creta, oppure anche nelle figure delle polene delle navi Tirrene, questa parola può essere intesa come variante della parola “Tirin”, oppure “Tirsin”. Sembra che i Telchi fossero divinità adorate da un antico popolo della Grecia, di Creta, della Lidia e delle varie isole del mar Egeo, nelle quali vigeva un regime matriarcale, e che gli aggressori greci, organizzati viceversa in uno stato patriarcale, li avessero costretti ad emigrare verso nord. L’origine di questo popolo sembra di essere quindi riconducibile all’Africa Orientale […].
Queste sono le assurdità sostenute da Robert Graves.
Liberamente tratto dal libro Gjuha e perëndive dell’autore Aristidh Kola