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I ♥ Telefilm: Finding Carter, You're the worst, Under the dome
Creato il 25 settembre 2014 da Mik_94Stagione I La mia attività preferita, in estate, è annoiarmi. Cercavo la compagnia di una nuova serie tv e, poco convinto, mi sono avvicinato a Finding Carter. L'ennesima robetta adolescenziale, immaginavo, con un tono che non volevano essere dispreggiativo: a me la robetta adolescenziale piace, soprattutto se targata MTV. In questo caso, di nuovo c'è poco, ma sapete che Finding Carter merita? L'ho capito dai due episodi iniziali, rilasciati contemporaneamente, come fossero una lunga puntata di un'ora e mezza, e dalla sensazione di avere a che fare con qualcosa di profondamente familiare. La storia è quella dell'adolescente Carter che, grossomodo, è una come tante. Un problema con la giustizia, una notte, non le assicura macchie sulla sua fedina penale, ma una scoperta che rivoluziona tutto. In commissariato hanno già le sue impronte digitali. Lei non si chiama Carter, lei non è figlia della giovane donna che l'ha cresciuta: è stata rapita da bambina e, per tutta la vita, ha vissuto con la criminale che l'ha strappata ai suoi genitori. L'adolescenza è un periodo terrificante: mette in discussione tutto. E cosa mette in discussione, esattamente, la consapevolezza di non essere chi pensavamo? Carter può riabbracciare la sua famiglia e ritornare a casa, tredici anni dopo. Ma quelli che la abbracciano sono estranei, e lei non ricambia l'abbraccio. Finding Carter è uno young adult sulla scoperta delle proprie origini e sul riappropriarsi di un'identità negata, ma narrato dal punto di vista di una protagonista umana ma tormentata, che capiamo e non. Perché Carter si scopre parte della famiglia perfetta – ma esistono famiglie perfette? - eppure quello che vorrebbe fare è fuggire via, con quella mamma fasulla che seguirebbe in capo al mondo. All'inizio non può, poi non vorrà più, ma porterà novità e danni nell'esistenze con cui entrerà in contatto. Inserita in un nuovo liceo, si procurerà amicizie e inimicizie, amori e odi e, curiosa e screanzata, godrà della luce della popolarità. Kathryn Prescott, minuta e bellina, dopo Skins e una “spregevole” particina in Reign, si mostra una brava padrona di casa, ma sono i comprimari a farsi volere bene. L'affascinante mamma poliziotto, la timida sorella gemella, il carinissimo e precoce fratello minore e, soprattutto, Max: il migliore amico che, dietro l'aria da ragazzaccio, tocca con un'anima da autentico bambino perduto. Il finale di stagione, con segreti mai rivelati che aleggiano ovunque, è sospeso e abbastanza forte. Ci vorrà l'anno prossima per mettere insieme i pezzi. I colpi di scena non mancano, la serietà non pesa, la leggerezza incontra il dramma e lo stempera come meglio può. Finding Carter cattura con il pregio di una semplicità intelligente. E piace, per la descrizione di dinamiche familiari che fanno pensare nostalgicamente ai teen drama classici, tradizionali: a me a The O.C, ma senza villette con piscina, e a Kyle XY, ma senza alieni. Be', Carter – adorabile e odiosa – un po' alieno lo è. (7+)
You're the worst Stagione I Un'altra serie debuttata nei mesi estivi. Un'altra scoperta. You're the worst – sfrontato, dissacrante, ironico, sexy – è un modo più o meno nuovo di tornare a parlare d'amore. Le cose di cui parlare sarebbero tante - dalle battute fulminanti all'alchimia tra i protagonisti, dall'originalità dei toni al ritratto grottesco di un pugno di trentenni tutti vizi e grigliate in giardino – ma parto dicendone un'altra. Per guardare i dieci episodi di cui la prima stagione è composta mi ci sono voluti due mesi. Duecento minuti complessivi, distribuiti in una sessantina di giorni. Ma come si fa? Personalmente, la curiosità che ho provato agli inizi è finita per scemare e, verso il finale di stagione, una certa irritazione ha prevalso. Non tanto nei confronti della serie, quanto del formato sit-com. You're the worst, visto una volta ogni tanto, non me lo sono goduto come avrei voluto. Peccato, perché in questo modo non so parlarne oggettivamente. Recuperatelo adesso, e guardatelo in due giorni. Sarà uno spasso: garantito. Avrete tutta la mia invidia, ché è un gioiellino. Io il primo episodio, visto a luglio, neanche lo ricordo più. Ho vaghi flash dell'incontro tra Jimmy e Gretchen, ma, ormai, so come va a finire tra loro. Due tipi strambi e sopra le righe. Due pitbull, per citarli, che prendono a morsi gli altri cani, ma che tra loro vanno d'accordo. Si contendono il posto sullo stesso divano. La loro non-relazione è fisica: questione di chimica. Giurano di non amarsi mai, ma prima che un sentimento (per noi non tanto) impreviso faccia capolino, fanno del gran sesso, si saccheggiano i frigoriferi, ridono delle vite degli altri. Come la Kunis e Timberlake, ma in una rilettura politicamente scorretta, sono Amici di letto... ma diventeranno altro? Fantastici i protagonisti, che non conoscevo: Chris Geere, biondino dall'aristocratico accento british, e la rossa tutto pepe Aya Cash, divertita e seducente. Lui, scrittore fallito che salta da un letto all'altro, da quando quell'acidona della sua ex l'ha mollato; lei, manager di rapper all'avanguardia, con una parentesi da galeotta, l'allergia all'amore, la simpatia verso il bicchiere. Attorno a loro, tra ambienti finto chic, vernissage e brunch, un mucchio di parlocce e comprimari esilaranti: come Lindsay, paffuta mogliettina ninfomane, e Edgar, reduce di guerra che vive di programmi di cucina, crisi isteriche e così via. You're the worst, cattivo e inviperito, romantico e osé, non è un'altra stupida commedia americana. O forse sì? Come Don Jon, il telefilm Fox, infatti, i clichè li usa e li getta, li bacia e li mangia, con l'aiuto di un cast a sorpresa e di uno script brillante, ma – per me - vagamente schiavo della monotonia. Una commedia, questa, che non diventa mai rosa. Abbasso l'amore! (7)
Under the dome Stagione II Certo che chi Stephen King lo conosce solo per Under the dome, ragionevolmente, chiederebbe: ma re dell'horror dove? La serie televisiva, tratta da un corposo romanzo del mio autore preferito che ahimè non ho letto, perché pubblicato in un periodo di rottura provvisoria tra me e il caro zio Stephen, ha caratteriste contrarie a quelle del suo famosissimo ideatore. Cose che, quando leggo King, sottolineo spontaneamente: la scrittura magistrale, i personaggi dinamici, gli intrecci fitti ma coerenti, la tensione che non si perde, nonosante le tante pagine e i tanti dettagli. Cose che ci sono in Under the dome: nessuna delle precedenti elencate. Ah, non proprio vero: nel primo episodio, in una scena girata in un bar, c'è l'autore in persona – in un simpatico cameo – che chiede tutto gentile una tazza di caffè. Stephen, carissimo, non potevi chiedere che si facesse qualcosa di poco, poco meglio? Come la prima stagione, infatti, che mi aveva lasciato con un gran bel punto di domanda, anche la seconda – coi suoi tredici episodi – va avanti tra alti e bassi, ripetizioni e noia, trovate fantasiose (poche) e altre (parecchie) un tantino assurde. Nonostante la voglia di spoilerarmi tutto con l'aiuto magico di Wikipedia, mi trattengo, e quindi non so dirvi quali sciocchezze siano da attribuire alla riscrittura per la televisione, quali allo scrittore stesso, che in quel periodo pareva oggettivamente non brillare granchè. Si riparte da dove si ci era fermati (e chi se lo ricordava?) e si cambia il minimo indispensabile. Il microcosmo rappresentato da quella Chester's Mill in una bolla aliena rimane invariato, se non fosse per gente di poco conto che muore e gente (non sempre) di poco conto che, in qualche strano modo, torna. Viene meno, purtroppo, la mia amata Britt Roberson, destinata ad essere un'apparizione evanescente soltanto verso la fine, e si aggiunge un'altra ragazza, sbucata dagli anni '80 e tornata da una morte per omicidio. Posso anticiparvi che, questa volta, si esce all'esterno, ma la Cupola non lascia mai i suoi personaggi del tutto liberi. Si aprono dei tunnel, passaggi incomprensibili per dimensioni parallele, ma – con personaggi che giocano ai piccoli esploratori delle caverne e altri in preda alla sete di ventetta – si marcia più che altro sui consolidati drammi. Una vaga atmosfera apocalittica-catastrofica si respira, ma forse gli esigui effetti speciali non permettono grosse trovate. La storyline si infittisce, ma si lasciano seguire soltanto le vicente dei due belloni Mike Vogel e Rachelle Lefevre (lei bellissima!) e degli adolescenti “in vitro”, Colin Ford e Mackenzie “che fronte alta che hai” Lintz, a cui si aggiunge un occhialuto hacker doppiogiochista e la Melanie che visse due volte. Limitatevi a guardare le scene in cui ci sono loro, se non volete perdere il filo conduttore ma di seguirlo per intero non vi va. Finale leggermente ansiogeno e spalancato nel vuoto, un enorme boh, un ovvio to be continued. (5,5)
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