Non sono una fan dei vampiri, ma questo romanzo di Colin Wilson è la base di cui Dan O’Bannon si è servito per scrivere la sceneggiatura di Lifeforce, conosciuto qui da noi con il titolo Space Vampires: film del 1985 diretto da Tobe Hooper. Ho riesumato qualche giorno fa il dvd dallo scatolone in cui era stato cacciato, insieme agli altri. Nella mia memoria era un bel film, ma non lo vedevo da una ventina d’anni almeno. Adesso si becca un “meh!” per una mera questione affettiva, ma ne riparlerò prossimamente. In ogni caso, era d’obbligo — per me — leggere I vampiri dello spazio, così me lo sono procurato tramite santo ebay.
Sono delusa. Così, detto tout court.
Poteva essere un romanzo affascinante, alla ricerca di una nuova, verosimile origine del vampirismo attingendo da fantascienza e da elementi canonici delle storie di vampiri, come la fascinazione che essi esercitano sulle loro vittime e il fatto che devono essere invitati. In questo caso, invitati a entrare nella mente umana.
Poteva essere un mix fenomenale di fantascienza e gotico. L’avventura del capitano Olaf Carlsen si apre nello spazio, nel momento in cui lui e il suo equipaggio — in missione per mappare alcuni asteroidi — si imbattono in una enorme astronave lunga ottanta chilometri, il cui interno rivela un’architettura tanto straordinaria quanto incomprensibile, bellissima e misteriosa, commovente e inquietante per l’aura di sacralità e il silenzio che la permeano. All’interno di questa immensa cattedrale spaziale, Carlsen e i suoi rivengono tre umanoidi addormentati in teche di cristallo — un uomo e due bellissime ragazze — e li portano sulla Terra. E lì cominciano i guai, perché un giornalista — introdotto di nascosto da Carlsen nel luogo in cui viene tenuta una delle Space Girls — viene ucciso da lei, ridotto da giovane ventenne a una mummia rinsecchita, priva della benché minima traccia di energia vitale. Sarà Hans Fallada — criminologo, psicologo e vampirologo, una sorta di Van Helsing — a spiegare a Carlsen che la Space Girl è un vampiro psichico che si ciba della vita umana sfruttando il fattore sessuale.
Ecco, poteva essere tutto molto interessante, gli elementi non mancano: gli esperimenti di Fallada sul campo lambda emesso dal cervello umano in risposta a stimoli sessuali; la reinvenzione del vampiro che da essere sovrannaturale diventa un alieno che ha già visitato la Terra nei millenni passati; la caccia alle tre entità che, risvegliatesi, si servono dell’Inghilterra come di una insalatiera, sfuggendo alla caccia data loro da Carlsen e Fallada “invasando” di volta in volta nuovi ospiti con cui nutrirsi e di cui nutrirsi… Invece finisce per essere un’infinita dissertazione dell’autore sul vampirismo positivo e negativo, su base sessuale. Tema interessante e persino attuale, considerata la presenza di vampiri psichici anche nella mia vita, ma che prende talmente tanto la mano a Wilson da fargli scrivere un trattatello che gira sempre intorno agli stessi punti cruciali e che mi ha annoiata ben presto, pure nei rarissimi momenti d’azione.
Tutto è in mano a Carlsen, l’eroe attraente che a malincuore resiste alla fascinazione della vampira. Infatti, l’unico modo in cui questi alieni possono privare un essere umano della sua energia vitale è fare sì che sia la vittima stessa a offrirsi come pasto. Carlsen, grazie a Fallada e ai suggerimenti di un provvidenziale ottuagenario che esercita il vampirismo positivo, riesce a trovare in sé la volontà per non cedere e, anzi, imporsi sulla Space Girl, impedendo a lei e ai suoi compagni di continuare a uccidere.
Carlsen, pur con tutte le debolezze del suo essere umano, è una personalità dominante — anche grazie a qualche aiutino esterno: ovvero la fama conseguita alla scoperta dell’astronave e quel poco di energia vitale che la Space Girl gli ha donato tramite un bacio. Intorno a lui si muovono uomini disturbati, come il dottor Armstrong, o deboli e viscidi, come il Primo Ministro. E poi ci sono le figure femminili. Figure e basta: non donne, ma manichini di cui viene indagato il solo aspetto sessuale, per cui o sono predatrici senza scrupoli, come la Space Girl; o self service di energia vitale, come Selma — che in nell’amplesso aspira alla resa; o masochiste, come l’infermiera Ellen — che vuole essere completamente distrutta. Sfumature caratteriali quasi zero: all’autore non interessa e si percepisce. E della cosa ne risente il romanzo intero, tant’è che — per esempio — la risoluzione del conflitto tra Carlsen e i vampiri alieni l’ho trovata assolutamente imbarazzante: bisognava concludere, Wilson l’ha fatto mantenendo in modo labile il tema dell’esercizio della propria volontà, e poi è tornato a parlare del vampirismo energetico.
Colin Wilson è uno scrittore dai molteplici interessi: scienza, criminologia, misticismo, paranormale, psicologia, filosofia. La sua scrittura è lucida, asciutta, fatta di poche essenziali descrizioni e rigorosa nell’esposizione di teorie ed esperimenti. Ma più che a servizio di una storia, in I vampiri dello spazio è messa a disposizione dei risultati degli studi dell’autore. Più che come romanzo, sarebbero stati interessanti come saggio.
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