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I verbali sequestrati di Totò Riina: eccone ampi stralci
Creato il 01 ottobre 2011 da Ognimaledettopostdi Attilio Bolzoni e Lirio Abbate per “la Repubblica”
TOTÒ RIINA
Più si fa vecchio e più se la tira. Con tutti i suoi segreti e con la smisurata considerazione che ha di se stesso, pensa che sta diventando un bene sempre più prezioso. A novembre, di anni ne farà ottantuno. Nonostante i malanni dell´età – due infarti, l´ipertrofia prostatica, una cirrosi da epatite C – e il perenne isolamento, a sentirlo parlare sembra quello che era prima. Un capo. Forse il tempo non passa mai per lo «zio Totò». Vive fuori dal mondo e si sente al centro del mondo. È sepolto dal 1993 in un buco (una cella lunga tre metri e larga centottanta centimetri), si mostra duro e puro però sotto sotto nasconde qualche fragilità. Cedimenti mai, non è il tipo. Solo piccole debolezze. È sempre lui ma – da quello che leggerete – si può capire che un po´ gli si è sciolta la lingua. Dopo un´esistenza di ostinato silenzio Salvatore Riina concede e si concede. Allude, ammicca, annuncia, nega, conferma, rettifica, pontifica su tutto e tutti. Difficile supporre che si tratti di strategia difensiva con i tredici ergastoli che ha da scontare, è più probabile che voglia levarsi qualche sassolino dalla scarpa. E mandare messaggi ad amici e nemici. Dalle sue parole – racchiuse in due verbali di interrogatorio top secret dei magistrati di Caltanissetta di cui pubblichiamo ampi stralci – affiora un autoritratto inedito del boss di Corleone.
STRAGE VIA D’AMELIO
Con Totò Riina che racconta Totò Riina chiacchierando di stragi e di pubblici ministeri, di vecchi compari, di paesani suoi, di generali, spie, di senatori e di pentiti. Colloqui e sproloqui di alta mafiosità. Nel suo stile e in un molto approssimativo italiano, a modo suo Salvatore Riina si confessa per la prima volta. Ce l´ha con quel furbacchione di Massimo Ciancimino «che vi usa per recuperare i soldi perduti di suo padre». È risentito con il procuratore Gian Carlo Caselli «che non mi ha mai chiesto se ho baciato o no Andreotti». Ricorda Paolo Borsellino ed esorta ad indagare sulla scomparsa della sua agenda rossa. Ironizza su un Bernardo Provenzano «troppo scrittore» per quella mania dei pizzini ritrovati nei covi di mezza Sicilia. Chiede conto e ragione della chiaroveggenza dell´allora ministro degli Interni Nicola Mancino sulla sua cattura. E poi parla e straparla. Di trattative e papelli, di traditori veri e presunti, della «tiratura morale» di Luciano Violante, della sua condizione carceraria – «Non mi pozzo fare neanche un bidè pei telecamere 24 ore su 24» – e naturalmente di sé: «Aio 80 anni e si hanno una volta sola. A 80 anni c´è morte. Gli anni sono gli anni». Però come vedete non sono proprio abbattuto… penso che tirerò ancora un altro po´».
NICOLA MANCINO
Il pensiero di quello che ancora oggi viene indicato come il capo dei capi della Cosa Nostra siciliana è dentro un centinaio di pagine (settantatré nell´interrogatorio del 24 luglio 2009 e trentatré nell´interrogatorio del 1 luglio 2010) che di fatto – se si esclude un breve e brusco incontro del 22 aprile 1996 fra lui e il procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna – rappresentano le uniche testimonianze ufficiali di Totò Riina dal giorno del suo arresto avvenuto nel gennaio del 1993. L´interrogatorio del luglio 2009 l´ha voluto proprio lui, quando ha chiesto di presentarsi davanti al procuratore capo Sergio Lari «per fare dichiarazioni spontanee». Insomma, dopo tanto tempo abbiamo scoperto che lo «zio Totò» non è muto.
TOTÒ PARLA DI SE STESSO
«Io sono stato dichiarato dal direttore del carcere un detenuto modello. Se lei mi dice che cosa vuol dire detenuto modello io glielo dico: io sono uno che mi faccio i fatti miei, non so niente di nessuno. Lei mi vede e dice: “Ma com´è che Salvatore Riina è così sereno, così tranquillo?” Perché io sono al di fuori del mondo. Io non vivo sulla terra, io vivo sulla luna». «Io se faccio parte di Cosa Nostra o se sono il capo dei capi o il sotto capo dei sotto capi, non sono tenuto a dirlo né a lei né a nessuno. Tengo a precisare pure di non mi fare questa domanda, perché io sono per i fatti miei e voialtri siete per i fatti vostri. Lei fa il procuratore di Caltanissetta e io sono Salvatore Riina da Corleone». «Se io avrebbi conosciuto a uno delle servizi segreti…deviati o ansirtati (letteralmente centrati, in questo caso regolari, ndr) io non mi chiamerebbe Salvatore Riina perché facissi parte a questa pentita, a questi signori e a questa deviata, a questo Ciancimino, a questo Spatuzza…fusse (sarei) una persona uguale a iddri (loro) se io avissi iunciuto (mi fossi accompagnato) a uno di questi o conosciuto uno di questi, io sarebbi una persona uguale a questi. No, questo non è Salvatore Riina. Dovete sapere chi è Salvatore Riina. Salvatore Riina è escluso da tutti questi servizi perché non ce l´ha nella testa, nella mente e nel fisico…Riina Salvatore è Riina Salvatore da Corleone, paese agricolo di campagna sperduto e lasciato là».
L´UCCISIONE DI BORSELLINO
«Visto considerato che questo Spatuzza e altri pentiti parlano.. allora ci dissi all´avvocato: si vuole interessare di tutti questi miei casi nuovi e vedere come stanno i fatti e che c´è di vero di questi papelli, di queste mie cose scritte, di queste mie con lo Stato? Ma volete cercare? Ma volete trovare? Volete vedere? Se dice la verità questa signora (Rita Borsellino, ndr) che l´agenda era lì, cioè che l´agenda ce l´hanno preso, che aveva tutte cose scritte, tutti gli appunti di dove andava, quello che faceva, scritti in quell´agenda rossa…rossa, detto dalla signora Borsellino..». «Ma allora per qui (la strage Borsellino ndr) chi è stato? Perché al Castel Utveggio (una costruzione sulla cima di Montepellegrino che guarda via D´Amelio e dove le indagini ipotizzavano che ci fosse una base clandestina di 007 nei giorni dell´uccisione del procuratore, ndr) ci sono i servizi segreti quando scoppia la bomba di Borsellino? E allora qui come siamo combinati? Chi ha commesso questo omicidio di Borsellino? Chi sono queste…queste persone. Procuratore, mi sento preso in giro dalla mattina alla sera perché faccio 17 anni che sono in isolamento, sempre in isolamento, area riservata, telecamere nelle stanze, non lo so più che cosa debbo fare e sono poi sempre io il capomafia, io che conta, io che ho la posta controllata, i telecameri nella stanza, nella saletta, nel bagno, non mi pozzo fare il bidet, non mi pozzo fare la doccia.
SPATUZZA
E allora questo è il momento per dirci: ma volete vedere questi incartamenti, dove io ho fatto ste trattative ccu stu´ Statu? Chi è questo Stato che io fatto queste trattative? Ecco perché sono venuto alla scoperta e sono stato io al mio avvocato a dire: faccia una richiesta di essere sentiti. Quindi che cosa ho fatto di male, signor procuratore? Sti servizi segreti che cosa facevano? Che cosa hanno fatto? Io non conoscevo Borsellino, non ho mai avuto una contravvenzione fatta da Borsellino».
Il PAPELLO E MASSIMO CIANCIMINO
«Non, non è cosa mia, non ho scritto questo papello e non ne so parlare. Se c´è questo papello, ci deve essere anche la mia firma. Io non lo conosco Ciancimino, loro sono di Corleone ma non sono mai abitati a Corleone…Ciancimino se ne vuole andare sulla luna, vuole recuperare i soldi e vuole recuperare anche voi altri per recuperare i soldi perduti di suo padre. Io gli dò la risposta signor procuratore: lei dice che non la pozzo scrivere questa risposta ma io gliela dò lo stesso. Come vede sacciu pure rispondere e rispondo. Questo…(Ciancimino ndr) e tanto lui e tanto Spatuzza, vi usano per i mezzi propri..». «Io di queste trattative sono caduto dalle nuvole..non deve prendere le mie parole per oro colato, però io di tutti questi fatti sono oscuro..loro facevano trattative con Lo Donno (il capitano del Ros Giuseppe De Donno, ndr) con Mori (il generale Mario Mori, ndr) con altri..io sono stato arrestato da Mori e sono qua. E da quel giorno che sono qua carcerato. Io la voglio aiutare, ma posso dire le cose che….non li conosco a questi, io sono stato oggetto della trattativa, hanno cercato di speculare tutti su di me».
GIAN CARLO CASELLI
«Io non ho mai parlato con Giovanni Brusca di trattative e del ministro Mancino. Bugiardo, bugiardo fino a sopra i capelli Brusca. Lui ha sempre cercato di farsi i fatti suoi, di non volersi fare galera, c´è riuscito…Ma diciamo vero?…Brusca ha detto che volevo qualcuno dell´opposizione per la trattativa e che poteva essere Luciano Violante. Violante era un giudice che per me, per me, Riina Salvatore, era un giudice tedesco, io non voglio descrivere lei che è pure magistrato ma deve sapere che (Violante ndr) è di una tiratura morale, Violante, da non ci credere. E mi fermo lì, mi fermo lì».
LA LATITANZA E LA CATTURA
«Per grazie a Dio e per la mia abitudine io potei fare 24 anni il latitante solo per..un latitante può durare un anno, due anni.. non può fare ventiquattro anni il latitante..io fici ventiquattro anni di latitante, mi fici una famiglia, mi sposai così.. perché facevo il solitario per i fatti miei..io ero un solitario, io sono un solitario». «Glielo pozzo giurare davanti a Dio e davanti ai figli, Provenzano non lo sapeva dove abitavo io e non mi poteva fare arrestare perché non lo sapeva dove mi nascondevo… e non lo sapeva manco Ciancimino…ccu ci l´avia addiri (chi glielo doveva dire, ndr) possiamo scrivere tutti i libri che vogliamo ma ccu ci l´avia addiri a Ciancimino…C´è stato qualcuno che ha avuto interesse di vendermi e farmi arrestare.. e quelle parole dette da Mancino (ministro degli Interni nel gennaio del 1993, ndr)…disse: “Fra 5-6 giorni l´arrestiamo Riina e lo mettiamo in carcere..” perciò, quindi, 6 giorni prima sapevano che mi dovevano arrestare e lo sapeva Mancino e qualcun altro che non so chi è.
GIOVANNI FALCONE
Provenzano? Non lo so Provenzano io lo conosco come corleonese perché è corleonese, però io non ho niente da dire, mai. Io sono sempre stato per i fatti miei, stu´ Provenzano non lo so. Se vogliamo dire una bugia…se io facevo un passo Provenzano non lo sapeva. L´unica colpa che ha Provenzano è quella che è troppo scrittore». «Io sono stato venduto, però non posso dire che è stato Vito Ciancimino, non lo so. Però non è stato quello… Di Maggio. Mi si dice Di Maggio (Balduccio Di Maggio, l´ex autista di Riina indicato dagli ufficiali del Ros come l´uomo che li ha portati alla villa di via Bernini dove il capo dei capi aveva il suo rifugio ndr) ma non è stato Di Maggio».
IL BACIO FRA LUI E ANDREOTTI
«Io non mi sono mai incontrato con stu´ Andreotti. La prego di capirmi, signor procuratore. Non mi ha chiamato mai manco Caselli, ma a lei ci sembra giusto signor procuratore.. non mi chiama per dirmi: “Ma Riina, ma ti sei incontrato ccù Andreotti? L´hai visto Andreotti? L´hai baciato Andreotti?” Mai interrogato. Mai citato. Signor procuratore, questo se lo vuole scrivere? Che poi sarà sicuramente copiato e registrato. E quindi è storia. Mai interrogato. Io solo dovevo dire sì o no. Però non mi si è mai domandato. Si è fatto un processo, si è fatto un appello, si è fatto tutto…non esiste. Mi dicisse una cosa, nella magistratura, nella legge è giusto di non essere..non essere interrogato una volta..una volta…io glielo sto dicendo perché è importante. Una volta per dire: ma ti sei incontrato con questo? Mai. Vidisse, vidisse (veda) che un procuratore non può fare questo abuso di potere, questa è una cosa che non è giusto, lei signor procuratore l´ammiro, l´accetto, questa mattina è stato brillante, però non si fanno queste cose. Ma Andreotti si baciava con me? Ma che era, lo scemo d´Italia?».
BERNARDO PROVENZANO
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