Come si studia un kata? Nello Iaido o in altre arti del Budo, spesso ci si concentra e ci si allena sull’intero schema (detto “embusen”). Poi lo si ripete all’infinito così la mente e di conseguenza il corpo possono memorizzarlo, automatizzarlo… ma fino a che punto può rivelarsi utile tale lavoro?
Quante informazioni può recepire il nostro cervello sul “come fare meglio” quando il Maestro di turno insiste sul farti solo velocizzare, memorizzare o peggio ancora copiare un Kata? Lungi da me criticare… lo dico solo per esperienza sui campi di Karate e Tai Chi, e dopo esser passato dall’altra parte (insegnante di Karate prima, di Aikido e Iaido in seguito) ho scoperto che qualcosa di diverso andava fatt0! Così sono passato dalla teoria (sui libri del fondatore Karate Shotokan) alla pratica (sui tatami).
Nel racconto che segue, tratto da un’altra arte del Budo, è riassunto il mio vecchio pensiero in merito al “come studiare un kata”, in questo caso a mani nude.
Nel cortile della casa degli Azato, mentre il maestro mi guardava, io allenavo un kata settimana dopo settimana, talvolta mese dopo mese, finché il mio maestro non fosse stato contento della mia esecuzione. Questa costante ripetizione di un solo kata era snervante, spesso esasperante e talvolta umiliante. Più di una volta dovetti mordere la polvere sul pavimento del dojo o nel cortile (…) Dopo aver eseguito un kata, aspettavo il suo giudizio verbale. Era sempre conciso. Se rimaneva insoddisfatto della mia tecnica, mormorava: “Fallo ancora” o “Ancora un po’ ”. Ancora un po’, ancora un po’, così spesso ancora un po’, finché il sudore scorreva e io stavo per crollare; era il suo modo dirmi che c’era ancora qualcosa da imparare. Poi, se trovava soddisfacente il mio progresso, il suo verdetto era espresso in una singola parola, “Bene!”. Quell’unica parola era la sua lode più alta.
[Gichin Funakoshi in "Karate-do: il mio stile di vita"]
Sono passati 8 anni, da quando ho iniziato Iaido nel 2006, e il pensiero non è poi così cambiato. Si è però evoluto in una più personale visione dei Kata. Nella nobile arte del katana che insegno da circa due anni ai miei pochi ma buoni allievi, ogni forma viene scorporata in blocchi, a loro volta fatti a piccoli pezzi per studiare e ripetere (non dico all’infinito) ogni singolo gesto, ogni singolo movimento del corpo, ogni singolo respiro. Dosando le varie velocità (ritmo basso, medio, medio-alto) a seconda dell’esperienza, gradualmente in crescendo, punto al focus di ogni singolo blocco “tecnico” per poter trascendere dall’utilizzo prettamente “fisico” dell’arma impugnata.
Provandolo a lungo in prima persona e poi trasmettendolo agli altri, questo metodo si è dimostrato altamente efficace nell’apprendimento di ogni singolo kata. A differenza del Maestro Azato sopra citato, mostro spesso il mio apprezzamento per gli sforzi dei miei allievi, nel comprendere una difficile arte che per mezzo dei kata trova a mio avviso la sua massima espressione.
Senza entrare nel dettaglio (quello è riservato ai miei studenti) ti consiglio di testare, anche da solo, quanto accennatoti, prendendo il kata che conosci e suddividendolo in vari blocchi. In genere un blocco inizia con l’inspirazione (che accompagna un gesto o una tecnica di spada) e termina con l’espirazione (in genere un colpo decisivo o uno spostamento). Poi prendi un blocco e dividilo in più parti: quando inizi a inspirare, quando stai per terminare l’inspirazione, quando inizi a espirare e quando stai per finire l’espirazione. Ripeti ogni parte più e più volte, incrementando gradualmente la velocità. Fammi sapere com’è andata, te ne sarei grato.
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