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Catania, 26 maggio 2012 – Aveva iniziato a parlare circa un mese fa. Poi, per vari problemi tecnici e risposte non proprio chiare, era stato tutto rimandato. Ieri, invece, Gaetano D'Aquino, collaboratore di giustizia dopo aver fatto parte del clan catanese dei Cappello, ha potuto terminare la sua audizione. «Non esiste che la malavita a Catania non abbia un ruolo in ogni nuova grande opera. A meno che, in futuro, non esisterà più. Ricordiamoci infatti che la mafia, negli appalti, ci va con i prestanome», ha esordito D'Aquino, che ha giustificato la sua confusione mentale della prima parte dell'udienza con la perdita del fratello più piccolo, cinque anni di età, morto in un incidente stradale. «Per ventiquattro anni sono stato un mostro e mi faccio ancora schifo per questo. Ma non a tal punto da non avere la testa al funerale», ha detto prima di iniziare l'udienza. Per evitare il ripetersi dei problemi di natura tecnica, inoltre, si è evitata la videoconferenza, portando il teste nell'aula-bunker di Bicocca, “gemella” di quella palermitana.Quattro ore in tutto, in cui il teste ha dovuto rispondere alle domande dei pubblici ministeri Carmelo Zuccaro e Michelangelo Patanè che della difesa, composta dagli avvocati Pietro Granata e Guido Ziccone.
La deposizione si è concentrata sia sulle elezioni del 2008 che del 2006 dove – ha raccontato D'Aquino – le famiglie catanesi avrebbero appoggiato più di un candidato del Movimento per le Autonomie, nonostante l'interesse non fosse poi così ricambiato, in particolare dall'attuale presidente della Regione, accusato da essere praticamente sparito dopo le elezioni «perché si era montato la testa, dicevano alcuni, oppure con la scusa delle indagini dei Carabinieri».
Per quanto concerne la tornata elettorale il candidato su cui punta il clan Cappello è Giovanni Pistorio, attraverso la mediazione di Peter Santagati, imprenditore della cooperativa Creattività (nella quale D'Aquino, come ebbe a dire nella prima parte dell'udienza, svolgeva il compito di sorvegliante[1] prima di essere sostituito da Lorenzo Fagone «del clan Santapaola del rione Picanello, cugino di Alessandro Porto che portò molti volti») pressato dai politici affinché garantisse posti di lavoro in cambio di appalti e Salvatore Vaccalluzzo, ucciso poco dopo quella tornata elettorale e che, secondo D'Aquino, era «uno dei più famosi usurai di Catania».
Nel 2008, invece, con D'Aquino disinteressato alla politica sarebbe stato Sebastiano Fichera del clan Sciuto-Tigna ad occuparsi della redistribuzione dei voti mafiosi scegliendo sia Angelo Lombardo che Ascenzio Maesano, per il quale era stato scelto come bacino elettorale la zona sud di Catania, compresa tra Librino (tramite accordo con il clan degli Arena) San Giorgio e Villaggio Santagata. I voti del centro – via della Concordia, San Cristoforo, via Plebiscito, zona Cappuccini – furono invece destinati ad Angelo Lombardo attraverso Michele Vinciguerra, detto “u cuttunaru”. «Mi ricordo che dal palazzo di cemento, a Librino, partivano i pullman per portare la gente a votare. Per essere sicuri che non fossero assenteisti», ha raccontato il collaboratore. Il metodo per comprare il voto era quello “classico”: «pacchi di spesa [provenienti dalla ditta Tre S di proprietà di Fichera, secondo la ricostruzione dei fatti] o, per chi non li voleva, soldi». Ad avere interesse per l'elezione di Angelo Lombardo poi, ci sarebbe stato anche Fabrizio Pappalardo del clan Pillera (a cui apparteneva lo stesso D'Aquino prima di “migrare” tra i Cappello), che grosso vanto si faceva dell'amicizia con l'attuale deputato regionale.
Come nella precedente udienza, comunque, il collaboratore di giustizia ha precisato che Angelo Santapaola, pur muovendosi per il movimento di Raffaele Lombardo stesse raccogliendo voti principalmente per Giuseppe Limoli, deputato regionale del Popolo della Libertà all'epoca componente del gruppo di Forza Italia e, secondo la ricostruzione, amico proprio del boss.
Secondo gli avvocati difensori, però, le dichiarazioni sarebbero troppo generiche e costituite da informazioni de relato. Non è stato raccontato nemmeno un caso, infatti, in cui D'Aquino si sia incontrato o abbia comunque intrattenuto rapporti con i due imputati. Presente ancora una volta in aula, il presidente della Regione ha esternato tutte le sue perplessità su D'Aquino, che non ha saputo né fare nomi di persone direttamente fatte assumere, né tempi e modi dell'appoggio elettorale.
Il 28 giugno, intanto, ci sarà una delle udienze più importanti dell'intero procedimento contro i fratelli Lombardo. In quella data, infatti, dovrebbe essere resa nota la decisione della difesa in merito alla richiesta di rito abbreviato per quanto riguarda il filone del processo “Iblis” in cui sono coinvolti i due, imputati coatti di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio aggravato dal favoreggiamento alla mafia. Prima di quella data, comunque, le nuove udienze sono previste per i giorni 14 e 22. In una di queste tre udienze riprenderà anche l'audizione di Lucio Aridiacono, maggiore del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri di Catania che, ascoltato dieci giorni fa, ha raccontato non solo di come gli uomini del Ros si stessero muovendo dal 2005 (dopo l'operazione “Dionisio”) per capire chi stesse scalando la gerarchia della Cosa Nostra catanese tra Vincenzo Aiello – capo provinciale considerato “di spicco” già dal 1993 considerato il cassiere della mafia – e Rosario Di Dio, boss di Ramacca.
Figura importante, secondo Arcidiacono, è anche quella dell'imprenditore agrigentino Marco Campione, spesso nominato dall'ex deputato regionale dell'Unione di Centro (del quale nel 2001 faceva parte anche Raffaele Lombardo) Vincenzo Lo Giudice, arrestato nel 2004 insieme al figlio Calogero nell'operazione “Alta mafia” e reintegrato due anni dopo. Stando a quanto riferito, sia sotto il governo Lombardo che sotto la precedente amministrazione regionale di Totò Cuffaro, le ditte riferibili a Campione avrebbero ottenuto diversi appalti milionari. Due i nomi su cui ci si è concentrati, ovvero la Girgenti Acque S.p.A. e la Acoset S.p.A., azienda per la gestione idrica guidata da Giuseppe Giuffrida, ex sindaco di Gravina di Catania considerato vicino al Movimento per le Autonomie che è stato anche amministratore delegato proprio di Girgenti Acque. Marco Campione, ha continuato Arcidiacono, è figlio di quel «Campione Giuseppe che è il capostipite di questa realtà imprenditoriale, collegato al noto imprenditore Salamone Filippo» che, come sostenuto dal ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, Angelo Siino, potè sedersi spesso a quel famoso “tavolino” sul quale si spartivano gli appalti mafiosi tra gli anni Ottanta e Novanta.
Note
[1] http://senorbabylon.blogspot.it/2012/04/processo-iblis-lombardo-in-aula-per.html