A Modena, dove le lingue sono una cosa “seria” (si fa per ridere), sono stati attivati corsi di trenta ore di arabo con due insegnanti marocchine per vigili in modo che possano interloquire con immigrati, ma non, per esempio, corsi di inglese per rispondere ai turisti. Ora, quante sono le probabilità che un vigile debba chiedere a un arabofono ‘patente e libretto’ in arabo perché l’interlocutore non sa neppure una parola di italiano? se devo giudicare da Padova, dove abito in una delle zone a più alta densità immigrata, la zona Stazione, direi che le probabilità sono una su 70-100 (c’è una possibilità su 15-20 di incontrare un arabofono a prescindere che sappia già l’italiano).
C’è poi il problema che 30 ore di arabo scolastico non mettono uno in grado di comunicare con le varianti linguistiche del Nordafrica in generale, e neppure con i dialetti. Ricordate il pasticcio dell’operaio magrebino intercettato nelle indagini del delitto di Yara, che aveva già imparato a intercalare anche nella sua lingua ‘ziocàn‘ dai colleghi veneti della ditta, ma ovviamente parlava nel suo dialetto a se stesso mentre aspettava che l’interlocutore rispondesse al cellulare: pur di non riconoscere l’orrendo pateracchio, cioè che non c’entrava nulla e gli interpreti avevano sbagliato, gli hanno affibbiato ‘favoreggiamento contro ignoti’! Siamo in Italia!
Andiamo avanti, facendo una breve panoramica sulla zona dove vivo e sulle mie esperienze personali, per approfondire la possibilità se esista un’esigenza di vigili che parlino arabo, anche se mi chiedo, se l’esigenza esiste, perché non assumono per regolare concorso uno o più nordafricani con un diploma e la cittadinanza (se serve per un funzionario pubblico, il semplice permesso di soggiorno se non serve), dato che oggi ce ne sono parecchi disponibili, perché per fare confusione agli incroci e mettere multe a manetta non è che ci voglia una specializzazione post-laurea. A Padova, dove l’amministrazione Zanonato non si è mai fatta mancare nulla quanto a scelte ideologiche, hanno promosso i cosiddetti ‘mediatori culturali’, ma almeno erano di differente area geografica e se ne andavano a coppie per strada a caccia di possibili immigrati in difficoltà. Un’esperienza fallimentare, dove assumevano persone di cooperative ‘amiche’, e dove accadevano imbarazzanti episodi, come quello della puerpera nigeriana che non voleva parlare al mediatore culturale, una filippina, perché non si capivano, ma la filippina era l’unica disponibile in quel turno, oppure quello dei ‘vu cumprà’ senegalesi che si rifiutavano di andare a mangiare alle Cucine Popolari gestite dalle suore elisabettine, adiacenti al mio appartamento, perché all’epoca frequentate da un certo numero di nigeriani ‘tutti spacciatori’, secondo gli schizzinosi mercanti illegali, un interessante esempio di razzismo interafricano.
L’area intorno alla Stazione, come quella oltre i binari, cioè la prima Arcella, sono le zone a più alta densità di immigrati residenti e/o che frequentano la zona per lavoro (legale o illegale). Nel gruppo di tre condomini che danno sul cortile comune al condominio dove vivo, abitano immigrati di parecchie etnie, che parlano tra di loro e con gli italiani in italiano, più o meno buono, ma si fanno capire. E’ più facile incontrare un musulmano che un arabofono: ci sono due o tre Take Away che vendono anche kebab, ma sono gestiti da pachistani e da un indù, poi c’è il Take Away di specialità cinesi per cinesi proprio davanti al mio terrazzo , assai considerato per l’ottima cucina a sentire i clienti cinesi. Nonostante questa sia diventata negli ultimi 5-6 anni la Chinatown di Padova, l’area conserva la caratteristica di estrema frammentarietà etnica tipica delle migrazioni recenti, per cui accanto al supermercato slavo (specialità ucraine, romene, russe, bulgare, molto frequentato dalle badanti e da operai anche di altre zone perché a un passo dalle fermate di autobus, corriere, tra cui la linea romena Atlassib, e treni) ci sono due parrucchieri nigeriani, un negozio-magazzino di che distribuisce i borsoni a i vu cumprà al mattino e li ritira alla sera (i due fratelli, di etnia Edo, cristiani protestanti, sono molto apprezzati perché gestiscono il loro commercio con competenza e senza rendere la zona uno schifo), un bar gestito da cinesi, un supermercato cinese e un grande magazzino cinese, un ufficio di pratiche burocratiche, money-transfer ecc. cinese. L’unico punto nero sono le Cucine Popolari, che le suore gestiscono in modo pessimo, tanto che persino i rom se possono non ci vanno, devono essere proprio appena arrivati e disperati per andarci (‘ho paura di prendermi qualche malattia’ mi ha detto una volta una rom), ma sono sostenute da Rifondazione (o quel che resta), dal PD, dal Vescovo e dal sindaco.
Prima che chiudesse il bar che frequentavo, ora trasformato nell’ufficio cinese delle pratiche, la clientela era varia e, quando ancora lavoravo e non ero in pensione, non era difficile incontrare il nigeriano capo dei ‘vu cumprà’ (non soltanto nigeriani, ma solo africani) che faceva colazione e facevamo volentieri quattro chiacchiere sulla sicurezza del quartiere (lui come capo importante e MOLTO rispettato dalla comunità nigeriana ci tiene alla sicurezza, soprattutto che la sua gente non venga rapinata in piazzale Stazione), sulla politica cittadina, nazionale e internazionale. I nigeriani in Italia e in Veneto in particolare sono quasi tutti di etnia Edo, Igbo e Yoruba; la gran parte sono di Benin City, sono cristiani di varia denominazione, odiano a morte i nigeriani Haussa musulmani, parlano afro-inglese oltre alle lingue tribali e praticano una forma estremamente attenuata di circoncisione femminile, tanto che i ginecologi fanno fatica ad accorgersene.
Ora che il vecchio bar sotto il nostro appartamento ha chiuso ed è un ufficio cinese, frequentiamo un altro bar una strada più in su, gestito da casalesi (nel senso di nativi di Casal di Principe in Campania, i cui commenti sulle vicende campane e un certo guru ‘esperto’ di camorra e cocaina sono, oltre che preziosi, spassosissimi). Oltre a occasionali turisti di passaggio, la clientela è formata da negozianti e impiegati della zona dai gusti più ‘proletari’ rispetto a un vicino bar più costoso e pretenzioso. Tra i negozianti, oltre a qualche italiano, ci sono un nutrito gruppo di bengalesi (Bangla Desh), qualche cinese, e qualche magrebino, tra cui uno ai domiciliari che abita nel mio condominio, ma che ha un paio ‘ore di ‘libera uscita’. Con gli spacciatori esiste un ‘gentlemen’s agreement’ con tutti i bar della zona, per evitare che la Questura chiuda il bar come ‘covo di pregiudicati’, un abuso che è passato inosservato e che non ha diminuito affatto il commercio della droga, ma ha fortemente danneggiato i malcapitati baristi che non hanno perquisito gli avventori per assicurarsi che non fossero ‘pregiudicati’ (alla faccia del recupero dei carcerati) o che non avessero con sé bustine (come se un barista avesse l’autorità per farlo!). Così il ‘telefonista’ dopo aver consumato al bar non staziona più al tavolino, o per lo meno ogni tot di tempo cambia bar e tavolo, mentre i ‘cavalli’, se ne stanno in zona, consumano al bar ma non vi stazionano, pronti a correre via in bici (bellissime, costosissime, rigorosamente rubate) dove il cliente chiama.
Ora, di tutta questa umanità che vive e/o lavora nella mia zona solo un piccolissimo numero di nordafricani, rispetto alla massa di immigrati, ha forse bisogno di un vigile che parlicchi l’arabo, anche tenendo in considerazione le due macellerie islamiche dove vengono clienti anche da altre zone di Padova, tra cui somale (che non parlano l’arabo), pachistane (che parlano varie lingue, ma non l’arabo) e bengalesi (idem come prima). La maggior parte dei nordafricani, di cui un tempo la solita RAI con la consueta melensa piaggeria vantava la competenza linguistica italiana fin da prima di sbarcare con i barconi, perché guardano la TV italiana con il satellite, non ha certo bisogno di qualche funzionario che storpi malamente la loro lingua per farsi capire. Sarebbe più opportuno avere funzionari, veramente competenti, non scaldasedie a un corsetto di 30 ore, che parlino cinese, perché a scuola e dal medico si vedono spesso i figli che fanno da interpreti ai genitori ed effettivamente la maggior parte dei cinesi della mia strada non spiaccica una parola, tanto che abbiamo messo nell’atrio del mio condominio cartelli in italiano, inglese e cinese (tipo ‘è proibito mettere le biciclette in atrio’), ma non in arabo, perché non serve.
Non so se Modena abbia la stessa situazione di Padova, ma credo che non sia molto diversa, solo su scala leggermente minore, vista la diversità di popolazione (a Padova nel 2013 ci sono circa 212.00 residenti, a Modena 184.000 circa). Modena è però il brodo di cultura ideologico-politico da cui proviene il ministro Kyenge, che più che dell’integrazione, sembra quello della divisione, dato che per arroganza ideologica e incompetenza si è già distinta all’interno di una classe politica arrogante e incompetente. Non è qui il luogo per discuterne, dato che è soggetto per un altro post, ma voglio concludere affermando che materia delicata come le politiche migratorie, l’integrazione e le politiche di cittadinanza non possono essere affrontate con piglio ideologico e calate dall’alto. Parafrasando il vecchio Karl Marx, il ministro ha messo appoggiato sulla testa quello che dovrebbe essere ben saldo sui piedi.