Non lo dico io, ma la maggioranza degli imprenditori italiani che in un sondaggio di Unioncamere si sono dimostrati in maggioranza (il 62%) pessimisti sul fatto che l’anno appena iniziato sarà quello della ripresa economica per l’Italia.
Il sondaggio di Unimpresa è di quelli “seri” visto cha ha interessato ben 122.000 imprese, ed il risultato non concede margini di speranza.
Per tre aziende su cinque, infatti, non ci sono prospettive concrete di miglioramento, né indicazioni positive, all’orizzonte non c’è alcuna svolta, nessuna buona nuova né sul versante della produzione, né su quello dell’occupazione, insomma in sintesi la ripresa è “un miraggio”.
Per gli imprenditori la pressione fiscale continua a soffocare qualsiasi tentativo di risollevare la nostra economia ed il problema è che, detto in maniera brutale, “nessuno paga”, i privati hanno un’estrema difficoltà di accesso al credito e per quanto riguarda il settore pubblico si riscontrano sempre gli usuali ritardi.
Al solito si guarda all’espansione verso l’estero, ma non potrà soltanto l’export supportare la crescita se nel nostro Paese continuerà questa situazione di profonda crisi.
Dal sondaggio emerge poi con chiarezza che la legge di stabilità 2015, già varata dal Governo, NON farò cambiare la situazione di un millimetro, per gli imprenditori CI VUOLE BEN ALTRO che le solite parole, occorrerebbe una cura choc che non esiste neppure nelle intenzioni dell’esecutivo Renzi.
A mio avviso poi non vengono nemmeno valutate appieno le conseguenze devastanti della deflazione, la riduzione dei prezzi, infatti non farà altra che acuire i problemi, risucchiando la nostra economia in una trappola a spirale senza vie d’uscita.
Chi si salva?
Chi fugge all’estero, e l’esempio più lampante è il caso Fiat, fuggita all’estero per trovare un fisco più umano ed il necessario accesso al credito, e di questa ripresa della nostra industria automobilistica all’Italia arrivano le briciole, ossia un migliaio di nuove assunzioni per produrre 500X e Jeep che verranno vendute negli Stati Uniti.
Certo, meglio di niente, ma non è delle aspirine che l’Italia ha bisogno, bensì dei chemioterapici.
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro