Scritto da: Gianni Petrosillo
La strategia internazionale di Obama è stata disastrosa, ciò a detta degli esperti diplomatici e dei vertici militari e d’intelligence statunitensi. Dal Mediterraneo al Medioriente, dall’Afghanistan all’Iran, dalla Siria all’Egitto, passando per la Libia e per le altre dittature arabo-africane, gli Usa hanno perso terreno e credibilità.
Se prima erano instabilità ed incertezza a regnare su quegli scenari, sempre ribollenti e mai addomesticati del tutto, adesso sono disordine e guerra civile a farla da padroni.
Tuttavia, anche se è vero che gli States perdono posizioni e sono costretti a rimodulare i loro piani, ridimensionando aspettative ed incrementando i tatticismi, non c’è nessuno che se ne avvantaggi realmente. Semplicemente, si ampliano le terre di nessuno e di ognuno, in attesa che il flusso della storia torni a solidificarsi e ricompattarsi intorno ad emergenti o riemergenti luoghi d’influenza e blocchi di potere. L’unica certezza è che la morfologia dei rapporti di forza mondiali non sarà più la stessa ed affioreranno, viepiù, nuovi attori pronti a fare le loro mosse sulla scacchiera globale, erodendo egemonia ai vecchi azionisti della globalizzazione e della supremazia occidentale.
I paesi antagonisti di Washington sono ormai consapevoli che l’unipolarismo è stato consegnato ai fogli stracciati del calendario, che le placche continentali sono in movimento e che vanno ristrutturandosi gli orizzonti di dominanza, da un capo all’altro del pianeta, ma da qui a governare, secondo progettualità definite e disegni chiari, tali processi ce ne passerà ancora molto. Siamo alla deriva, o almeno ci sembra di esserlo, perché non esiste più un punto fisso ed un centro di regolazione evidente.
La crisi economica generale rappresenta l’effetto epidermico di questa situazione e, pertanto, non giungerà a soluzione (per un altro lungo periodo come quello intercorso dalla fine della II G.M. sino al termine della Guerra Fredda) finché non rinasceranno quei poli geopolitici in grado di stabilizzare il campo di battaglia ed organizzare i vari fronti. I problemi maggiori ricadranno su quelle formazioni sociali che per miopia, mancanza di coraggio e scarsa visione politica, non sapranno autonomizzarsi e riposizionarsi sul palcoscenico dell’orbe in costante trasformazione.
Ovviamente, parliamo in primis dell’Italia che da collettività satellite dell’alleanza atlantica è diventata una mera “residentura” degli affari statunitensi in Europa. Questa sudditanza fuori corso storico deprimerà la nostra già labile sovranità e ci condurrà ad essere terreno di scontri conto terzi, conflitti per interposta potenza dei quali pagheremo (lo stiamo già vedendo) le conseguenze peggiori.
Inutile ribadire che la responsabilità oggettiva di questo sfacelo ricade su una classe dirigente inutile ed incompetente che anziché mettere al centro della sua agenda politica la decadenza italiana e la maniera di evitarla si è concentrata sulla decadenza del cavaliere dai ranghi parlamentari e sulle altre cattive maniere costituzionali degli altri corpi dello Stato. La statura della nostra élite istituzionale corrisponde esattamente a queste sue bassezze moralistiche ed antipolitiche.
Inoltre, con lo scombussolamento degli equilibri geopolitici, inizia anche a saltare l’impalcatura ideologica che aveva caratterizzato la passata fase storica e che aveva consentito agli Usa di far metabolizzare agli altri popoli qualsiasi sua azione, più o meno criminale, con scarse conseguenze per la sua immagine e poche disapprovazioni al suo modello culturale. Per gli occidentali diventa sempre più complicato far funzionare quella corrispondenza tra sovrastruttura identitaria e prassi politica che fino a ieri non veniva quasi mai messa in discussione. Pare che l’ età dell’impunità e dell’acriticità si sia affievolita.
Per questo molti governi non allineati, di fronte alle improbabili dichiarazioni dell’Amministrazione americana, rispetto, per esempio, a marchiani errori commessi nelle pratiche di esportazione della democrazia, con un eccesso di violenza e d’inganno, non esitano più a distanziarsi o a deridere i giochetti verbali degli yankees.
Non da ultimo i giri di parole usati dai leader di Washington per non chiamare col nome corretto il recente golpe in Egitto. Come ha scritto l’analista investigativo Pepe Escobar, si è trattato di un bagno di sangue che non è un bagno di sangue, unicamente perché dietro ai militari egiziani c’erano e ci sono i finanziamenti di Obama. In altre circostanze gli Usa avrebbero cavalcato la neolingua con più prosopopea senza rischiare d’incorrere in contestazioni, si sarebbero lasciati andare senza troppi veli ai soliti frasari al contempo vacui e pirotecnici per impressionare partner suggestionabili. Da qualche annetto ci mettono maggiore circospezione perché le macchie di ridicolo sulla loro reputazione non vanno via così agevolmente come prima.
Un capitolo di un libro di Michael Farquhar, dedicato alle grandi truffe che hanno cambiato la storia, si intitola “Dieci esempi eccellenti di moderna doppiezza americana”. Qui possiamo trovare le origini di alcune locuzioni usate dagli americani per edulcorare i loro terribili comportamenti:
Danno collaterale: uccisione di civili innocenti
Ricercati ufficialmente morti: assassinio
Scissione energetica: esplosione nucleare
Rappresaglie aeree protettive di durata limitata: bombardamento di villaggi
Artiglieria intemperante: bombe finite per errore su scuole o ospedali
Difesa attiva: invasione
Potremmo proseguire con altre definizioni come guerra umanitaria al posto di invasione unilaterale ecc. ecc., in ogni caso arriveremmo agli ultimi fatti del Cairo dove il bagno di sangue non è un bagno di sangue esclusivamente perché qualcuno dalle parti della Casa Bianca non vuole prendere atto delle necessità di fare un bel bagno di umiltà e di realismo geopolitico.