Allora è deciso. Devi fare tutto quello che ti spaventa.
Nel momento in cui i due librai Bill e Bud arrivano a dire questa cosa al quattordicenne JR, ecco che il romanzo assume un’altra consistenza rispetto a tutta la parte che precede quel momento.
Siamo infatti ormai quasi ad un terzo del libro e francamente fino a questo punto il tutto mi era parso non molto appassionante o perlomeno non all’altezza delle aspettative che alcune recensioni sulla stampa avevano contribuito ad alimentare.
Il bar delle grandi speranze è un romanzo di formazione tra i più classici del suo genere ed accompagna le vicende del giovane JR Moehringer dalla tenera infanzia, circa sette anni, fino ad un’età decisamente matura, ricoprendo tutti gli anni ottanta e buona parte dei novanta.
Come già accennato, l’inizio non riesce a catturare completamente il lettore.
In alcuni momenti, durante i quali quasi ci si ritrova a girare le pagine come per inerzia, capita di dare un’occhiata alle dimensioni del libro e chiedersi se si sarà in grado di affrontare il lungo percorso che ci attende per arrivare al termine del racconto.
Beh, il consiglio è quello di tenere botta!
La costanza comincia ad essere premiata man mano che ci si approssima alla metà del libro e per poi avere un finale in crescendo che soddisfa pienamente.
Alcuni incontri del giovane JR sono memorabili e lasciano il segno; fra tutti quanti ho scelto Padre Ferrovia, il prete che lo tira su di morale citando Logan Pearsall Smith circa a metà del libro:
“L’instancabile ricerca di una perfezione, sia pure il semplice strimpellare un vecchio pianoforte, è ciò che basta per dare un significato alla nostra vita su questo inutile pianeta.”
Molti altri aneddoti sono interessanti, come ad esempio la cronaca dell’incontro di boxe Hagler vs Leonard da parte dello zio Charlie, che mi ha fatto tornare indietro negli anni ottanta e anche questa volta, come nel caso di Open di Andre Agassi, una delle mie letture recenti, l’esistenza di youtube si è rivelata una grande opportunità.
Rivivere l’incontro fino alla fine del dodicesimo round quando Leonard viene portato al suo angolo a braccia mentre Hagler si muove a passo di danza, ha reso questo libro quasi multimediale ed ha aumentato la mia valutazione su di esso.
Ma Il bar delle grandi speranze non è solamente un romanzo, può anche essere visto e considerato un contenitore di piccole saggezze e lezioni di vita.
Ecco infatti l’illuminazione che coglie il nostro JR mentre scambia qualche lancio con il cugino McGraw:
Provai una punta di invidia, un moto di orgoglio, ma soprattutto vergogna.
Vedendo McGraw che sciorinava il suo repertorio di lanci, osservando la sua serietà e la sua diligenza, compresi che mio cugino non era semplicemente la promessa di un grande giocatore.
Aveva la dedizione di un artigiano e lavorando sodo aveva ottenuto risultati che andavano ben oltre la capacità di padroneggiare uno slider o la velocità di un lancio.
Era diventato padrone di se stesso.
Non si impegnava solamente perché aveva talento, ma perché sapeva che l’impegno era la strada giusta per un uomo, l’unica strada.
Lui non era paralizzato come me dalla paura di sbagliare.
Sperimentava, esplorava, cercava se stesso e a forza di errori trovava la sua strada per la verità. Anche se mancava clamorosamente il bersaglio, al lancio successivo era concentrato, sicuro, rilassato.
Per tutto il pomeriggio conservò sul volto la stessa espressione di quand’era bambino.
Era dura, ma lui non aveva mai smesso di giocare.
Ecco cosa mancava a JR; in questo momento se ne rende conto ed avviene la sua svolta, o così almeno sembra…
Ecco dunque apparire un’altalena di alti a bassi, più bassi che alti a dire il vero, con un senso di ineluttabilità che fa proseguire la lettura non solo con curiosità, ma anche con speranza ed apprensione, quasi ci si ritrovasse a fare il tifo per JR, McGraw e tutta la compagnia degli affezionati frequentatori del Publicans.
Poi verso il finale ecco arrivare un’altra riflessione, una delle più importanti, che fa di questo libro un libro da leggere; è JR che tra sé e sé medita:
Capii che dobbiamo mentire a noi stessi di tanto in tanto, dirci che siamo forti e capaci, che la vita è bella e il duro lavoro avrà la sua ricompensa e poi provare a trasformare le nostre bugie in realtà.
Un’ultima considerazione personale: via via che la lettura prosegue e le pagine vengono sfogliate, prende sempre più corpo la sensazione che quanto letto un giorno su Orwell, l’inserto culturale del quotidiano Pubblico fosse azzeccato.
E’ vero che questo è un libro importante ed è anche vero che andrebbe letto appena terminata la lettura di Open di Agassi in modo tale da riuscire a cogliere lo stretto legame esistente tra le due opere.
Detto tutto ciò non resta che leggerlo.
Tempo di lettura: 10h 47m