Per la terza estate consecutiva (record….) il calcio italico deve fare i conti con il calcioscommesse. Siamo di fronte ad un bivio. L’ennesimo. O giochiamo al “cambiamo tutto così nulla cambierà” o focalizziamo interventi mirati andando a correggere i singoli errori di sistema. Perchè ce ne sono tanti, di errori nel sistema-calcio italiano di inizio secolo. Ovviamente la prima ipotesi non la prendo neanche in considerazione perchè in questo paese vecchio e per vecchi è la strada che da 15 anni scegliamo di percorrere ogni volta che ci si para di fronte l’opportunità del cambiamento, diciamo che tutto va male e che dovremo cambiare tutto e poi lasciamo tutto esattamente com’è.
Abbiamo stadi che nella migliore delle ipotesi pur avendo 20 anni sono fatiscenti e sembrano studiati apposta per non permettere una visione comoda delle partite: un controsenso in un paese civile, in Italia no. Abbiamo un campionato di serie A formato da un numero di squadre sproporzionato alla qualità delle partite giocate, numero (20) determinato non da una riforma ponderata bensì da una sentenza del TAR del 2003: in un paese normale sarebbe quantomeno aberrante, in Italia no. Tra serie A, serie B e Lega Pro ci sono più di 90 squadre professionistiche, oltre la metà sono – al netto dei fallimenti che da 12 anni le stanno falcidiando – ultracentenarie, con storie che sono spesso un tutt’uno con il tessuto storico, sociale e culturale della città di appartenenza. Bene. Su quasi 100 squadre professionistiche vi sono soltanto 7 musei dedicati al calcio e alle sue società: in un paese culturalmente vivo sarebbe una vergogna, in Italia no. Dicevo del bivio. C’è da scegliere tra un vecchio modo di curare il calcio e un modo nuovo. Ecco, io sceglierei senza indugio il modo nuovo. Che poi – ironica la vita – è un modo che ci viene tramandato dal passato, dalla forza decisionista dei nostri nonni, dei nostri padri. Chi sbaglia paga e le sentenze si rispettano. Secondo me questo sarebbe già un bel punto di partenza. Anche le sentenze della giustizia sportiva, giustizia non certo dotata di guarentigie proprie di una civiltà giuridica. Ma questo tipo di giustizia tutela – o colpisce – solo e soltanto i tesserati, tesserati che sanno perfettamente – o dovrebbero sapere – quali sono le regole e i divieti che normano la loro attività. Questo per dire che occorre colpire senza se e senza ma i tesserati che sbagliano. Se dalla combine del 2004/05 (Genoa-Venezia) si fosse proceduto con la radiazione dei colpevoli, Federazione e Giustizia Sportiva avrebbero dato un segnale sicuramente deterrente e forse non saremmo arrivati a questa valanga di melma e fango che ha ricoperto tutto il calcio italiano. Radiazione. Chi verrà dichiarato colpevole non dovrà più avere a che fare con il calcio e con i campi di calcio. Da subito e per sempre. I rischi ci sono, certo. Rischi congeniti alla particolarità della giustizia sportiva che deve essere rapida e per esserlo non può necessariamente essere anche approfondita nelle indagini. Ovviamente parlo di indagini e non di decisioni in quanto – quasi sempre – il giudice sportivo aderisce – con vari livelli di sfumature – alle richieste elaborate dalla Procura, essendo il processo sportivo fortemente sbilanciato a favore di quest’ultima a discapito delle difese. Ma tant’è. I tesserati lo sanno e devono fare in modo di non sbagliare. In questo ambito – e solo in questo – non lo vedo un limite. Occorre poi una Federazione forte, decisionista e con le mani libere nei confronti delle leghe. Insomma, tutto il contrario della Federazione attuale. Senza indugi la Federazione deve indicare – di concerto ma senza subire veti e/o imposizioni dalle società – una riforma sostenibile e di prospettiva dei campionati professionistici. Nel basket la Federazione c’ha provato a riformare i campionati di vertice: vi sono stati malumori e tensioni, certo, ma almeno il tentativo l’ha fatto ed è arrivata alla riforma dei campionati. E quello che si sta giocando è uno dei più spettacolari degli ultimi anni, con forte incremento di pubblico nei palazzetti. Il calcio ha invece deciso di dipendere in tutto e per tutto dalle tv a pagamento. Sky e Mediaset sono le vere proprietarie delle società di calcio. Lo dicono senza pudori (mah…) diversi presidwenti di Serie A. Lo confermano i dati – agghiaccianti – che si leggono nel Report pubblicato dalla F.I.G.C.: dove non arrivano i soldi di Sky e Mediaset si muore. Dal 2000/01 non si sono iscritte o non sono state ammesse ai rispettivi campionati 99 squadre: di queste ben 91 erano di serie C/Lega Pro. Senza i soldi delle tv, quante squadre delle serie superiori si sarebbero aggiunte? E quando Sky e Mediaset decideranno che non è più “strategico” avere a libro paga il calcio ed investire in esso, cosa accadrà? Cosa accadrà a tutte quelle società che non hanno proprietà pronte a ricapitalizzare e stadi di proprietà da far fruttare? Andranno ad elemosinare dall’amico parlamentare-tifoso di turno aiuti di Stato? E’ già accaduto, cosa credete. Che questo nostro calcio sia destinato ad un ridimensionamento è inevitabile. Ma sicuri che questo ridimensionamento non sia già in atto da diversi anni? A livello tecnico e puramente “sportivo” quali risultati ha raggiunto il nostro calcio così come è concepito oggi? a parte Milan e Inter (3 champions league vinte), negli ultimi 13 anni (quindi nel nuovo secolo) il nostro calcio cosa ha vinto a livello di club? Rimango fermo nella mia idea: la coppa del mondo vinta nel 2006 è stata una clamorosa occasione persa, non sfruttata come invece fu il mondiale del 1982, volano che fece diventare il nostro campionato il più importante al mondo e trampolino per i magnifici anni’90, densi come mai di successi europei per le nostre squadre, con le 21 finali giocate da squadre italiane. Forse 30 anni fa c’era un progetto, forse no. resta il fatto che in quegli anni si è costruito qualcosa di tangibile. Partendo da lontano, con la valorizzazione – forzata – dei settori giovanili negli anni’70 che ha prodotto una generazione di campioni che hanno permesso al nostro campionato di diventare il più spettacolare, e quindi attraente per i più celebrati campioni stranieri dell’epoca.Magazine Sport
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