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In breve, quella di re Artù è una leggenda che si svolge in Gran Bretagna. Il giovane Artù estrae la spada dalla roccia (excalibur) e diventa Re. Il Mago Merlino, valido consigliere, crea per lui una tavola rotonda dove far sedere tutti i cavalieri del suo regno per prendere decisioni solenni. A seconda della versione i cavalieri del Re sono 15 o 150 o un numero intermedio. Merlino costruisce un posto che rimane sempre libero ed è destinato ad un cavaliere particolare, quello che troverà il santo Gral, mi pare. Quindi nella leggenda si intrecciano miti pagani, fede cristiana, ecc ecc.Io la tomba di Re Artù l’ho anche vista, si trova nel sud dell’Inghilterra, a Glastonbury. Molto bello come posto.
Ma torniamo al succo. Sulla tavola i cavalieri deponevano le loro spade e la forma era circolare perché a quel desco nessuno era diverso dagli altri. Nessuno era superiore, anche se c’era il Re in persona, le opinioni di tutti avevano pari dignità. Bellissimo esempio di parità fra gli uomini, quanti manager hanno creato il loro gruppo di lavoro attorno al mito della tavola rotonda. Quante volte ci si è tolti i gradi sedendosi ad un tavolo circolare, senza nessuno a capotavola, senza imbarazzi su dove sedersi e si è discusso in parità. Tante volte, magari sostituendo le spade coi cellulari.
Il problema è che lo schema tavola rotonda non funziona, è un bluff.
Tralasciamo due particolari, il primo è che Lancillotto si inzuppava Ginevra, evidente segnale che troppa parità fa male, il secondo è che il Re comunque metteva sul tavolo Excalibur, mica una spada qualunque, come dire “siamo tutti uguali ma la mia spada (che fra qualche centinaia di anni qualcuno assocerà ad un fallo) è speciale”.
Bene, perché fallisce, perché non è replicabile? Il problema è sempre quello, l’eccessiva difesa dell’uguaglianza. L’uguaglianza (che in tutta ignoranza pensavo si scrivesse ugualianza) non è un valore, la diversità lo è. La tavola rotonda per renderci tutti uguali abbassa le eccellenze mica innalza le mediocrità. E il risultato è uno solo, nessuno che si prende una responsabilità. Caro Artù per fare “l’uguale” hai permesso che nessuno si assumesse responsabilità, che ci nascondessimo nelle riunioni dietro al mito di “è una decisione di gruppo”. Non funziona, il gruppo deve avere un leader conclamato, non basta che metta lo spadone sul tavolo, deve distribuire responsabilità, delegare. Mi piace il concetto di leadership itinerante ma non quello della deresponsabilizzazione del gruppo. Eliminiamo i tavoli tondi, se ci sono otto persone in riunione è meglio un tavolo ottagonale, ognuno ha uno spazio per assumersi una responsabilità precisa, non può farla girare attorno al tavolo.
Potremmo andare oltre e dire che la leadership di Artù, derivando da un gesto “magico”, non era così forte, mica era Steve Jobs che si era creato Camelot e tutto il resto, era un pivello “unto del Signore”. Quando mancano i risultati in genere non basta. Poi aveva un consulente invasivo: immaginate che arriva Merlino nella sala del consiglio e dice “via questo tavolone rettangolare, da domani tavolone tondo e tutti con sedie uguali”. Mi immagino le chiacchiere al caffè: “sono anni che andiamo avanti così, ma questo è un designer o un consulente?”; “Una volta servivano fatti per mandare avanti un regno, mica un tavolo!!”, “e poi ”ma il Re cosa si è bevuto, adesso non si vuole prendere responsabilità, quando la barca affonda tutti colpevoli”. E mi immagino Lancillotto che dice “bisognerebbe dargli una lezione” e si inzuppa Ginevra.
Quindi il risultato è che lo schema tavola rotonda è fallito, che servono tavole dove ci si possa guardare in faccia, che servono leader che ci ispirino ma servono persone pronte ad assumersi una responsabilità, si possono condividere le scelte, le strategie ma poi serve che ognuno si senta responsabile di una fetta di tavolo.
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