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Tuffarsi nel “Bolero”di Ravel è come essere presi dal moto vorticoso di una trottola ruotante. Ci si tuffa dentro e non si riesce più a venirne fuori, presi dalle spire di un movimento ritmico, lento, estenuate, ripetitivo, nevrotico, coinvolgente. La musica non è come un film le cui immagini colpiscono la tua retina che traduce nella corteccia le sensazioni che l’autore vuole proporti. La musica lascia spazio alla tua personale interpretazione, alla tua fantasia, alla tua visione della vita carica dei più disparati interessi Così il Bolero di Ravel fu rappresentato con una sceneggiatura che vedeva una donna danzare sopra un tavolo contornata da uomini che sempre di più si stringevano in cerchio attorno a lei. Esiste una versione del Bolero più magica, quasi metafisica in cui un demone s’impossessa di un gruppo di luridi avventori di una maleodorante bettola. Io conservo da qualche parte una versione moderna del Bolero, fra le centinaia di cassette che affollano la mia nastroteca. Diversa dalle altre ma molto eloquente, forse supera per espressività le stesse intenzioni dell’autore: Un gruppo di persone, bambini, adulti, anziani, di ogni sesso e conformazione fisica, salgono delle scale e, quando credi che siano arrivati, le scale continuano in un crescendo estenuante che ti schiaccia come oppresso dalla ripetitività di una scena senza fine e senza limiti. Uno, dieci, mille, un milione, un miliardo azzarderei dire, di gradini quasi a significare il cammino dell’umanità che crede sempre di vedere la fine del tunnel e, proprio quando si sente fuori, ricomincia il lento, sfibrante, deprimente avanzare. Quando Toscanini all’Opéra di Parigi nel 1930 volle accelerare il ritmo del grande compositore francese, incappò nelle ire di Ravel che voleva evidentemente dare proprio quel ritmo alla sua composizione forse contaminato dall’ influenza jazzistiche del suo amico consigliere Léo Vauchant al quale era legato da sincera amicizia. Onestamente non è un brano che ascolto spesso perché la sua musica ossessiva mi fa pensare, per associazione di idee, a quegli scorpioni che si suicidano ruotando in cerchi sempre più stretti intorno a loro stessi, fino ad avvelenarsi con la puntura del loro stesso pungiglione. Dino
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