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Il Brasile visto dall’Italia

Creato il 25 marzo 2011 da Sulromanzo

Cesare BattistiNota a margine su Lula, Dilma e Cesare Battisti

 

“Per noi un eroe, per gli austriaci un traditore”. Quando a scuola un professore dall'intelligenza più pericolosamente critica voleva aguzzare il nostro ingegno sul gioco di specchi della Storia, dava l'esempio di Cesare Battisti. Naturalmente non il “proletario armato per il comunismo” condannato in contumacia e rifugiato in Brasile, ma l’irredentista impiccato a Trento nel 1916. Destino dei nomi: l’altro C. B., il più recente, per noi è un assassino, ma ci stupisce che all’estero qualcuno ci veda come l’Iran e riconosca ai nostri condannati lo statuto di perseguitati politici (e magari ignorano rappresaglie come quella di cui si parla qui, esempio di zoppa democrazia reale).

 

Senza entrare nel merito delle sentenze, è proprio il gioco delle prospettive che qui interessa. Quanto a vizi e virtù degli intellettuali francesi che per primi hanno “adottato” e difeso Battisti, mi sembrano in buona parte condivisibili le competentissime analisi di Barbara Spinelli e Antonio Tabucchi. In certe posizioni c'è sempre una componente di romanticismo rivoluzionario da esportazione. Si pensi anche alla tacita accoglienza di cui a lungo hanno goduto i terroristi baschi alla frontiera dei Pirenei, quando in Spagna erano già in atto politiche di decentramento regionale e pluralismo linguistico che in Francia sarebbero considerate sovversive. Per tacere poi di Bernard-Henri Lévy, che se Battisti fosse stato un bambino palestinese dell'intifada l'avrebbe consegnato di persona al Mossad.

 

Quando però si passa dai cugini d'oltralpe agli zii d'America (latina) la nostra raffinatezza d'analisi si fa subito più sbrigativa. Il sottotesto delle lamentazioni sulla perdita di prestigio internazionale del nostro Paese sembra essere sempre: ma che è... facciamo schifo pure al Brasile? Più di tutti colpisce un articolo di Bruno Tinti sul Fatto Quotidiano. Lo cita anche Tabucchi, ma per rilanciare quella che Tinti, con un ardito ossimoro, definisce “ipotetica certezza”: Battisti in Francia l'ha fatta franca perché avrebbe collaborato con i servizi segreti locali. Vabbè... Per citare, parafrasandolo, un democristiano che se ne intendeva: a pensar male (dei servizi segreti) si fa peccato, ma difficilmente si sbaglia. Tuttavia il nostro miglior lusitanista glissa sulla seconda parte del testo, in cui si dice che Battisti la fa franca anche in Brasile perché l'attuale presidente, Dilma Rousseff, ha un passato da terrorista da cui nemmeno Lula ha mai preso le distanze.

 

Dilma Rousseff
È triste, ma oramai gli italiani più onesti somigliano a quei mariti cornuti che, persino davanti alle tragedie altrui, non sanno fare altro che piangersi le proprie corna. Vivendo in un Paese in cui altissime cariche dello Stato rivendicano il culto dell'eroico picciotto Vittorio Mangano, l'ex magistrato Tinti non è più in grado di capire che la militanza comunista sotto una brutale dittatura militare è qualcosa di diverso dal concorso esterno in associazione mafiosa affibbiato già in secondo grado a Marcello Dell'Utri. Andati al potere con un golpe nel 1964, i militari brasiliani avevano via via messo al bando i partiti, chiuso il parlamento e abolito l'habeas corpus. Erano gli anni in cui Chico Buarque cantava: “Sveglia amore! Chiama i ladri, che sta arrivando la polizia”, perché ti si metteva nottetempo in macchina e finivi nelle stanze di tortura delle squadre speciali antisovversione. Fu in questo clima che Dilma Rousseff entrò nella lotta armata. Anche se non esistono prove circa la sua partecipazione ad azioni di sangue, è quasi ovvio che abbia approvato operazioni come la rapina in casa dell'amante del governatore di San Paolo, due volte golpista in quanto già sostenitore della dittatura di Getúlio Vargas negli anni '30 (traducendo ad sensum: un nostrano Giorgio Almirante, recidivo e di successo). Venne anche la stagione degli omicidi, come il disastroso agguato a Gary Prado, il militare boliviano che aveva catturato Che Guevara. Per uno scambio di persona fu ucciso un ufficiale dell'esercito tedesco. Degli imbranati attentatori solo uno sopravvisse alle torture, mentre Prado è stato di recente accusato di star preparando un attentato al presidente della Bolivia democraticamente eletto, Evo Morales. Erano tempi, quelli, in cui gli sbirri sudamericani andavano a scuola da rifugiati nazisti come Klaus Barbie, il boia di Lione, che in America ci era arrivato con la copertura dei servizi segreti americani (una certezza un po' meno ipotetica, si veda la relativa voce di Wikipedia con annessa bibliografia e sitografia). Tempi in cui Dilma Rousseff polemizzava con la leadership dell'avanguardia armata, ritenendo opportuno ridurre le azioni di guerriglia e mobilitare le masse. Poi però finì per tre anni in galera e i leader guerriglieri persero un oppositore interno.

 

Danno qualche brivido quei blog e giornali che oggi discutono se sia stata torturata ininterrottamente o solo a giorni alterni. Alcuni alimentano lo scandalo rimettendo in circolazione foto segnaletiche, vere o taroccate, di un'occhialuta ragazza fuorilegge, oggi presidente. Ma per un italiano forse fa più effetto vedere Il Fatto Quotidiano allineato sui revisionismi d'oltreoceano. Non è un premier incensurato quello che in Italia dà del terrorista ai partigiani e giustifica con l'anticomunismo ogni picconata alle istituzioni? Ragionamenti come quello di Tinti non sono l'esempio di come la metastasi del berlusconismo abbia ormai raggiunto gli organi sani? È vero che attraversiamo una gravissima crisi di legalità, ma stiamo attenti a non fare della legalità una categoria assoluta di analisi addirittura storica. Si ricadrebbe nella smemorata confusione “post-storica” tanto cara a berlusconiani e rimestatori di varia specie.


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