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Il bravo lettore

Da Marcofre

Come si riconosce il bravo lettore, dal lettore e basta?

Non è difficile rispondere a questa domanda, e l’occasione è arrivata dalla lettura di un post sul blog di Morena Fanti, a proposito del romanzo “Madame Bovary”. Se chi legge queste righe indossa per caso un cappello, dovrebbe toglierselo; non solo perché siamo al cospetto di una signora.
Ma perché è un capolavoro.

Molti lettori entrano dentro la storia con il loro ricco (troppo ricco) armamentario di idee e pregiudizi. Niente di più sbagliato. Siccome abbiamo a che fare con un’opera di pura manipolazione che svela la realtà (non c’è alcuna contraddizione in una tale frase, anzi) è necessario comprendere che un romanzo non è un derby. Non si tratta di schierarsi, di tifare o di decidere da che parte stare.

Che poi esistano romanzi di questo genere non ho alcuna difficoltà a crederlo. Probabilmente sono quelli che riscuotono maggior successo.

Il lettore e basta, è colui o colei che affronta la pagina come “semplice” sistema per far passare il tempo. Quando questo non accade, sorge il problema che però diventa anche dell’autore. Costui viene contestato perché il personaggio è “brutto, sporco e cattivo”: ma è proprio lì il bello!

Raskolnikov: uno che pensa, pensa, pensa, e poi pensa ancora un po’! Che diamine! Si trovasse una donna e imparasse a divertirsi! (Senza soldi? Ah ah ah!).
Il capitano Achab: un reazionario filibustiere, archetipo del dittatore che dominerà in Europa nel Novecento. Si facesse una risata ogni tanto! Eccetera eccetera.

Come si può intuire, le critiche ai personaggi, e perciò alle scelte dell’autore, si sprecano. Naturalmente, esiste il diritto di critica, ci mancherebbe: ma secondo me dovrebbe limitarsi all’efficacia e al valore dello scritto, e basta. Tutto il resto rientra in quel noioso (e pericoloso) arcipelago del “Non hai scritto quello che io volevo leggere”.

Allora prova a leggere dell’altro.

Il problema di certe critiche è che spostano l’attenzione dall’opera, alle aspettative di chi legge. Se poi costui è magari una persona con un seguito (un critico per esempio), la faccenda si complica. Perché troverà senza dubbio qualcuno (più di uno) che gli darà ragione. E l’errore si ingigantisce: il giudizio si deve formulare sull’opera, sulle sue qualità. È ovvio che poi i personaggi siano riprovevoli: la buona narrativa parla di chi finisce sotto la ruota. E in quella situazione non si ha molta voglia di ridere e scherzare.

Il buon lettore (ne parlo al singolare perché sono pochi, in effetti), non pretende di entrare nella storia con tutto il suo peso. E nemmeno desidera trarre fuori questo o quello, a uso e consumo delle sue idee o opinioni. Legge: cerca di capire se dialoghi, descrizioni, sviluppo della storia hanno un senso e soprattutto dimostrano qualità ed efficacia. Non gli importa un accidente se il personaggio ruba, ha tre amanti e dissemina nel mondo figli su figli.

È un problema del personaggio, e non c’è niente di più noioso di chi vuole essere il giudice della coscienza di una creatura “di carta”. Chi scrive prova a produrre qualcosa che parli di arte, o balbetti di arte. E sentire qualcuno che dice: “Eh, però questo tipo che ammazza due donne, mica è una bella cosa! Se un giovane lo legge, crescerà male”, be’, è avvilente.

Poi ci sarebbe il lettore perfetto: quello che non gli importa un fico secco dell’autore, non vuole sapere se ci sono degli aspetti autobiografici, oppure se in quel personaggio si rispecchiano le sue esperienze, eccetera eccetera.

Sembra che una tribù di questi rari esemplari di lettori sopravviva ancora nelle foreste del Borneo…

 


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