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Il burattinaio della storia italiana

Creato il 23 luglio 2010 da Mickpaolino

Il burattinaio della storia italiana

Mafia. Storia d’Italia. Storia di Sicilia.
Se si fa lo sforzo di interessarsi per un attimo alla storia italiana ci si imbatte spesso in questa parola, anzi, i recenti fatti politici legati alle logge massoniche P2 e P3 hanno indirizzato l’attenzione verso una teoria alquanto terrificante che confermerebbe l’esistenza di un potere occulto italiano che ha agito come un burattinaio manipolando saggiamente i fatti del nostro paese sin dagli anni 50.

Nel corso degli anni la storia italiana e siciliana hanno avuto a che fare con diversi tipi di mafia, diversi per modus operandi, alleanze, impatto sociale e politico: ad ogni periodo storico corrisponde una mafia, dai signorotti prepotenti degli inizi del 1900 alla mafia delle collusioni politiche e delle società segrete del 2010 passando per la mafia del brigantaggio del secondo dopoguerra, la mafia dei palazzinari degli anni 70, quella stragista degli anni 80 e quella politica del ventennio successivo.

Prima degli anni 50 la Mafia siciliana era stata una naturale conseguenza delle condizioni di vita al limite dell’umana sopportazione in cui versavano i siciliani: fame, povertà e arretratezza non offrivano altre soluzioni che l’emigrazione o l’impiego presso un proprietario terriero locale magari come campiere, ovvero negriero (vedi Prima che vi uccidano di Giuseppe Fava).
Di fronte a queste difficoltà i siciliani piano piano cominciavano ad uscire dal feudalesimo agricolo per impantanarsi in quello degli uomini d’onore, dei patti tra signori e delle uccisioni per difendere l’onore, il rispetto e la terra.

Dal 1946 al 1950, la Sicilia ha vissuto la leggenda del bandito Salvatore Giuliano, difensore della libertà e dell’indipendenza che a suon di uccisioni suscitò l’interesse dello Stato e non solo..
La sua storia finì nel sangue di tanti innocenti della strage presso Portella della Ginestra (PA) nel 1947, fatto a cui seguirono e seguono tutt’ora infinite indagini che sono riuscite a dimostrare il coinvolgimento dello Stato sia nella strage quanto nella misteriosa uccisione del bandito Giuliano.

Negli anni 70 la Mafia è diventata un’azienda specializzata in appalti edilizi nelle provincie occidentali della Sicilia: ingenti capitali passavano dalle mani di rispettabili signori alle tasche di funzionari pubblici, politici e sindaci (vedi Vito Ciancimino a Palermo) e si crea un primo embrione di Mafia politica di stampo odierno.

Però, negli anni 80, l’ascesa del clan dei Corleonesi, i ‘peri ncritati‘ per la borghesia palermitana, con la loro tattica della violenza spazzò via la vecchia generazione: oltre 1000 uccisioni nella sola Sicilia Occidentale tra il 1981 ed il 1983.
La figura di Totò Riina e della sua banda divenne ben presto paragonabile a quella di Giuliano ma la scia di orrore che si lasciò dietro rappresenta forse la ferita più dolorosa inferta alla storia italiana, superiore per lo sdegno suscitato anche alle vicissitudini delle Brigate Rosse in un passato mai dimenticato.
Per mano dei Corleonesi, oltre alla vecchia scuola mafiosa palermitana, caddero figure importanti come il segretario regionale del Partito Comunista Italiano Pio La Torre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, i giudici Rocco Chinnici, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.
A loro si devono aggiungere tanti poliziotti, carabinieri, membri delle scorte, questori, vicequestori e chiunque abbia intralciato in qualche modo i fatti mafiosi della Sicilia di fine anni 80 ed inizio 90.
Con l’arresto di Riina nel 1993, e del suo braccio destro Bernardo Provenzano nel 2006, è finita la storia dei Corleonesi ma è proprio a questo punto che sono sorti i dubbi circa un coinvolgimento delle istituzioni nei fatti delittuosi da sempre attribuiti alla Mafia.

La questione è nata da alcune lacune presenti nelle testimonianze delle persone coinvolte, principalmente nelle dichiarazioni di Vito Ciancimino, che all’epoca dei fatti ricopriva la carica di sindaco di Palermo.
Il primo cittadino del capoluogo siculo è stato invischiato nelle vicende di Cosa Nostra (così Falcone e Borsellino definirono la Mafia) sia per le concessioni edilizie che per i traffici illeciti ed è entrato in contatto sia con Provenzano che con Riina divenendo in breve tempo il loro portavoce presso i palazzi del potere italiano: il famoso papello con le richieste dei Corleonesi allo Stato Italiano lo avrebbe consegnato proprio lui.
Ciancimino, prima di passare a miglior vita nel 2002, ha ricoperto anche il ruolo di esperto di Cosa Nostra per le indagini che hanno portato alla cattura di Provenzano.

In questa vicenda le ombre si allungano anche sulla strage di Via D’Amelio, in cui persero la vita Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta: sia Riina che Ciancimino hanno attribuito a “loro” la paternità del delitto. Loro chi?

Negli attimi immediatamente successivi allo scoppio dell’ordigno che uccise Borsellino dal luogo del delitto scomparve, o se preferite, non si trovò mai la celeberrima agenda rossa su cui il magistrato registrava gli appunti sulle indagini in corso e sulla quale potrebbero esserci scritti i nomi dei politici italiani coinvolti nei fatti mafiosi siciliani.

Lo scenario diventa allora più ampio e terribile e la conclusione che tutto debba essere attribuito alla ferocia dei Corleonesi diventa una luna di carta come direbbe Camilleri.

A vent’anni di distanza dai fatti testè raccontati sono emersi nuovi particolari che potrebbero portare alla riscrittura della storia dello stragismo in Sicilia: depistaggi, occultamenti di prove, poteri occulti a capo dell’operato di Riina.

Il nuovo filone investigativo è ripartito dai fatti dell’Addaura, la località marittima dove è fallito il primo attentato a Giovanni Falcone.
L’esplosivo non era stato piazzato il 21 giugno del 1989, come è stato diffuso all’epoca ma, il giorno prima e sul luogo del misfatto, il giorno stabilito, si trovavano due gruppi, l’uno composto dai mafiosi che dovevano fungere da braccio dell’operazione, l’altro composto da membri di supporto la cui identità è sconosciuta eccetto che per due di essi: Emanuele Piazza e Antonino Agostino.
I due sono stati riconosciuti come ex agenti di polizia che collaboravano con i servizi segreti italiani e rispondevano agli ordini di un fantomatico personaggio conosciuto come faccia da mostro o signor Franco: questo individuo è stato riconosciuto da Ciancimino, Riina e dal mafioso Luigi Ilardo, collaboratore di giustizia del Colonnello Michele Riccio, che lo definì come un agente di polizia con la faccia da mostro che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani (Fonte: Attilio Bolzoni de La Repubblica).
Piazza e Agostino morirono nei mesi successivi al fallito attentato dell’Addaura ma le loro morti furono fatte coincidere l’una con la pista passionale e l’altra con una vendetta mafiosa.

Allargando un pò la visione di insieme in relazione alle difficoltà degli investigatori di chiarire alcuni aspetti misteriosi della storia italiana come
la storia di Salvatore Giuliano, delle BR, della banda della Magliana, della strage di Ustica e dello stragismo in Sicilia ecco che salta fuori il nostro burattinaio che per decenni ha manovrato la politica e la criminalità del nostro paese operando una costante azione di tipo orwelliano che giustificasse e contemporaneamente condannasse se stessa, la cosiddetta strategia del terrore.
Sia esso un partito politico, una setta segreta, un’istituzione il termine comune sembra essere Democratico: Democrazia Cristiana, Servizio per le informazioni e la Sicurezza Democratica(SISDE) e la loggia massonica P2 che stila il Piano di Rinascita Democratico.


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