La banchina di attesa degli autobus extraurbani che partono dalla stazione di Cagliari è sempre la stessa, da decenni. Grigia e con le panchine rosse. Gli autobus si avvicendano uno dopo l'altro, puntano i fari sulle facce stanche di chi attende, gli occhi vanno allo schermo e all'orologio. Non è il mio, è ancora presto.
Il mio autobus è quello delle otto di sera. È l'autobus più sicuro che c'è, parte ogni giorno dell'anno e ti riporta al paesello dopo un'ora di viaggio. Attraversa tutti i paeselli della pianura e sale fino al mio. Prosegue fino al capolinea, il paesello sulla costa.
Il bus delle otto conosce molta gente e ne ha viste di tutte i colori, e fra queste molti momenti della mia vita.
Ha visto il rientro dalla mia prima spedizione a Cagliari con gli amici, l'adrenalina dei 15 anni e l'entusiasmo di passare una giornata da soli, a bere Coca Cola con la cannuccia, tutti attingendo dalla stessa lattina.
E che dire di tutti quei viaggi passati a mandare sms pieni d'amore? E le conversazioni al telefono con un'amica dall'altro lato?
Ero sul bus delle otto quando mi perdevo nei miei pensieri o abbandonavo il libro che stavo leggendo per ammirare il cielo arrossarsi al tramonto. Ho letto tantissimi libri, sul bus delle otto.
Mi sono fatta cullare fra i suoi sedili nelle sere d'inverno, quando tornavo al paesello distrutta dopo 10 ore di lezioni in facoltà.
Mi ci sono addormentata tantissime volte, rischiando di perdere la fermata, ma intanto sognavo una nuova città in cui vivere e un futuro che poi è arrivato.
Mi ha visto in lacrime il giorno in cui l'ho rivisto per la prima volta dopo la rottura.
Mi ha visto ieri, il bus delle otto, a trent'anni e qualcosa, con uno spolverino di panno giallo sulle spalle, i piedi doloranti per i tacchi alti, e uno stato civile lucidato a nuovo, per cui abbiamo aspettato 3 anni.
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