Un Berlusconi sempre più in forma rappresenta una delle poche note di interesse di una campagna elettorale fin qui piuttosto anonima. In un contesto nel quale tutti sono più o meno d’accordo il Cavaliere è davvero l’unico capace di andare in una tv come La 7 e fare, nel vero senso della parola, 9 milioni di telespettatori ed uno share del 33% (dato ovviamente storico per l’emittente in quota Telecom). Alla luce di questi prevedibili risultati appare ancor più incomprensibile la scelta di Bersani di presentarsi quasi in contemporanea da Vespa: inevitabili i raffronti, i Bersani flop del giorno dopo, con i quali alcuni organi di stampa hanno salutato la comparsata tv del segretario Pd.
Invero i sondaggi davano già da qualche tempo il Pdl in recupero, dopo una perdita di consensi che pareva davvero inarrestabile; basti pensare a quell’incredibile 13%, toccato a novembre in coincidenza con le primarie del Pd, mesto vaticinio di un epilogo analogo a quello dei più importanti partiti di governo della cosiddetta Prima Repubblica. Insomma è nel momento in cui si tocca il fondo che Berlusconi si convince definitivamente della carenza di quid da parte di Alfano, accantona il sempre poco amato progetto-primarie, e si ripresenta come capo di una variegata coalizione incentrata sul patto Pdl-Lega.
E’ chiaro come la vittoria di Pierluigi Bersani e della sinistra sia, a questo punto, certamente meno scontata rispetto a poche settimane fa. Il segretario Pd, che soltanto nel dicembre scorso scandiva non-vedo- l’ora-di-sfidare-Berlusconi, sembra oggi molto più cauto riguardo al tema dei confronti tv; da qui la volontà di considerare solo i candidati premier e non i “semplici” capi coalizione. Una scelta legittima, intendiamoci (d’altronde Bersani è ancora in vantaggio, mentre Berlusconi ha l’obbligo di recuperare), ma che tradisce qualche preoccupazione di troppo, considerando l’ottima forma sfoderata dall’ormai anziano Cavaliere. Il quale, dal canto proprio, davvero si diverte di fronte alle telecamere, anche quando gioca fuori casa, come avvenuto l’altra sera a Servizio Pubblico.
Sotto quest’ultimo aspetto non c’è dubbio sul fatto che il duello abbia riguardato esclusivamente Santoro e Berlusconi. Gli altri non sono nemmeno esistiti. Colpisce, in particolar modo, il flop di Travaglio. Dopo averne scritte di tutti i colori per 20 anni (spesso a ragione, intendiamoci) l’allievo di Montanelli non è riuscito a fare una sola domanda diretta al Cavaliere, da uomo a uomo, come si sarebbe detto un tempo, ovvero guardandolo negli occhi; anche i più focosi fans del giornalista sono rimasti chiaramente delusi. Paradigmatica è stata la scena nella quale Berlusconi, alzatosi dalla propria postazione, si dirige verso Travaglio intimandogli di sloggiare, con quest’ultimo che esegue l’ordine e se ne va. Le telecamere e i commentatori hanno indugiato soprattutto sulla gag successiva, Berlusconi che “pulisce” lo scranno dov’era posizionato Travaglio, ma il momento emblematico è il precedente perché riassume perfettamente chi sia stato il vincitore del confronto e, forse, la stessa tempra dei protagonisti in gioco. A peggiorare la situazione poi è intervenuta l’inopportuna, quasi ridicola, querela del giornalista, conseguenza del “papello” letto dall’ex premier in diretta.
Che d’altronde Berlusconi fosse in forma lo si poteva facilmente preventivare. Alle prime, infelici, apparizioni in tv (quelle di fronte alla D’Urso e a Giletti, per intenderci, fino alle insofferenze mostrate da Vespa) era seguito il “match” con la Gruber, risolto a favore del Cavaliere; basti pensare al grottesco epilogo nel quale la conduttrice si vantava delle sue origini “austro-ungariche”, oggetto poi di lievi sberleffi persino da parte di Santoro nel prologo della trasmissione di giovedì. Questi fatti stanno a dimostrare come a Berlusconi facciano mediaticamente bene gli ambienti ostili, le “fosse dei leoni”, le corride, piuttosto che gli intervistatori un tempo accusati di esagerata acquiescenza e pertanto oggi in cerca di “riposizionamento”.
Insomma, a Berlusconi serve un fiero, coerente, “nemico” per esaltarsi. E’ per questo che la routine non fa per lui: al governo “si annoia”.