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Il Cairo, città, rivoluzione

Creato il 11 settembre 2013 da Annalife @Annalisa
Tahrir Square for eighteen days

Tahrir Square for eighteen days

Prima ospite, venerdì, sotto il tendone di Fahreneit, è stata Ahdaf Soueif (adàf suìf), autrice di un libro sulla città del Cairo e sui diciotto giorni che a piazza Tahrir hanno dato inizio alla rivoluzione.
Sinibaldi paragona, in certo modo, il racconto della Soueif con quello dei dieci giorni che sconvolsero il mondo, si dice un po’ invidioso di chi ha partecipato a quelle giornate, ma sottolinea che, oggi, all’invidia si sostituisce l’interrogativo circa quello che sta succedendo e su quello che succederà. Parla dell’imbuto, del bivio drammatico in cui sembra adesso che la scelta sia soltanto tra l’Islam fondamentalista e i militari (con la conseguente negazione della democrazia).
Ahdaf Soueif sottolinea il momento difficile e cupo del momento, e ammette il bivio in cui si trovano gli egiziani oggi, da una parte i Fratelli Musulmani (e quelli come loro) e dall’altra parte la sicurezza dello Stato impersonificata dall’esercito. Ma questa, aggiunge, è la scelta che per trent’anni è stata proposta da Mubarak come l’unica scelta: quella tra un sistema brutale e corrotto ma sicuro, e l’alternativa del caos della tirannia dall’altra parte. La rivoluzione del 25 gennaio, dice

the author of the bestselling “The Map of Love” (1999) and “Cairo”

Soueif, era un dire no a questa scelta obbligata, era un dire: noi la rifiutamo e vogliamo dire qualcosa di diverso.
La rivoluzione, poi, voleva essere inclusiva, per il diritto di tutti a far parte dello spettro politico, e questo includeva i Fratelli Musulmani, i Salafiti e quelli che pensano che la religione abbia una parte nella politica. Quello che è successo è che i Fratelli Musulmani sembravano l’unico potere non governativo organizzato, mentre la sinistra era frammentata. Così i Fratelli Musulmani hanno vinto le elezioni e la presidenza, ma hanno perso il Paese nel corso dell’anno successivo.
Secondo Soueif, i Fratelli Musulmani hanno perso il Paese non perché avessero un programma islamista, anzi, avevano lo stesso programma di Mubarak, solo adattato alle loro esigenze, e ai loro bisogni. Si trattava perciò di mettere le persone giuste ai posti di potere, con la volontà di utilizzare la violenza non soltanto da parte dello Stato, della polizia, ma anche da parte dei membri della propria milizia contro ogni protesta della gente . E questo nel corso di un anno, finché non si è avuta la seconda ondata rivoluzionaria contro coloro che erano al potere.
Questo governo rappresenta perciò il fallimento di un governo dell’Islam politico. Adesso si ripresenta la situazione del vecchio Stato di polizia sostenuto dall’esercito che torna prepotentemente utilizzando la paura nei confronti dei Fratelli Musulmani: sono ricominciate le bombe ed è stata riproposta la stessa vecchia scelta: il terrore o lo stato di polizia con la negazione dei diritti individuali.
Noi, però, dice Ahdaf Soueif, di nuovo non accetteremo questa vecchia scelta: ci sarà una terza ondata rivoluzionaria con la quale riusciremo a liberarci anche di questa situazione.
Paola Caridi (giornalista e storica, vive in Medio oriente dal 2001: invisiblearabs.com) conclude l’incontro invitandoci ad aprire gli occhi e a guardare gli altri non come un tutto indistinto, e, in particolare, a guardare i popoli arabi come popoli differenziati e dotati dei nostri stessi desideri.

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