Anche quest’anno siamo giunti a ridosso del mese estivo di agosto con nessuna soluzione concreta per la risoluzione definitiva della crisi dell’ eurozona e che purtroppo è ben lungi dall’essere terminata. Permangono purtroppo le diffidenze dei paesi più virtuosi nell’accettare il ridimensionamento della propria sovranità nazionale, che resta necessario per avviare la tanto auspicata integrazione fiscale tra i paesi europei, unica via per garantire un progetto sano di ricostruzione europea.
Per quanto siano comprensibili le ragioni sottostanti alla mancanza di volontà da parte di paesi come la Germania, la Finlandia e l’Olanda a rendere operativa tale unità fiscale, allo stesso modo non si comprende come possano questi stessi paesi non dare la giusta attenzione all’importanza economica e strategica di paesi come l’Italia e la Spagna.
I fondi stanziati dall’eurozona con i meccanismi di salvataggio targati Efsf ed Esm sono sicuramente insufficienti nella malaugurata ipotesi di default di uno solo di questi due paesi che se è vero che sono troppo grandi per essere salvati è anche vero che sono troppo grandi per essere lasciati fallire, perché le ripercussioni su l’intera economia europea ed in parte anche su quella internazionale sarebbero devastanti e incalcolabili.
Si ha quasi la sensazione invece che ben difficilmente assisteremo a quest’ultimo scenario, che naturalmente è il peggiore, e che nella realtà dei fatti si voglia far pagare a caro prezzo l’inefficienza politica e contabile di Italia e Spagna portandole lentamente ad una situazione di estrema emergenza per poi obbligarli a svendere le loro principali aziende pubbliche e private, a tutto vantaggio dei compratori esteri europei virtuosi. Mi viene in mente per esempio la cessione della nostra cara Parmalat alla società francese Lactalis. (Leggi anche L'Italia rischia il collasso: "Il caso Argentina" per non dimenticare)
Nel frattempo, anche la Germania dovrà ben presto fare i conti in casa propria e riflettere seriamente sull’importanza di continuare a sostenere paesi sistemici come il nostro, piuttosto che la Spagna, visto che anche nel mese di giugno l’indice ifo, che misura la fiducia delle imprese tedesche, ha fatto registrare un nuovo minimo dal 2010 e presto i mercati finanziari picchieranno duro anche nei suoi confronti, visto che quasi il 70 per cento del proprio Pil viene prodotto dal commercio con i paesi dell’eurozona, quella stessa area su cui i mercati hanno puntato il dito da ben 3 anni per la mancanza di soluzioni efficaci e durature (e solo di mero tamponamento).
Se poi i politici tedeschi stanno pensando di sfruttare il prossimo ribasso della borsa tedesca e quindi della propria economia per imporre finalmente l’ok al piano di rinascita della nuova Europa, seppur con i giusti e doverosi paletti, allora che ben venga tale situazione. Prima si decide di ripartire seriamente e minori saranno i costi richiesti a ciascun paese.
Sulla scia di questa aspettativa, possiamo trovare una conferma importante dal cambio euro/dollaro.
A ben analizzare la situazione grafica, risulta evidente come dopo il nuovo top del rimbalzo in area 1,485 a maggio dello scorso anno, il trend dell’euro è tornato ad essere ribassista ma quello che più conta è stata la nuova rottura dell’importante supporto statico di 1.25 che conferma la forte debolezza dell’euro nei confronti del dollaro americano. Nel breve periodo è probabile una ripresa del suo corso, dopo aver toccato un nuovo minimo a 1.216 , con obiettivo 1.25 – 1.27, ma nei prossimi mesi la strada sembra ormai spianata, con buona probabilità, verso un nuovo minimo in area 1.13 – 1.15 almeno, che creerebbe sicuramente le condizioni economiche per una maggior attrattività dei prodotti made in Italy.
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