Il re del Marocco Mohamed VI
Il re del Marocco Mohamed VI il 18 maggio 2005, annunciando alla nazione il lancio dell’iniziativa nazionale per lo sviluppo umano (INDH), affermò: «Non si tratta né di un progetto puntuale, né di un programma congiunturale di circostanza, ma di un cantiere del regno, aperto in modo permanente». Recentemente ho visitato (non per la prima volta) Casablanca e le province di Khourigba, Fkih-Ben Salah e Beni Mellal, che si trovano nel Centro-Sud del Marocco, ed ho constatato che il re ha mantenuto la sua parola. Il Marocco è un vero cantiere, che non vede come protagonisti solo gli attori statali ma anche quelli non-statali.[1] Si costruiscono autostrade, ferrovie, tunnel, ponti, dighe, ma soprattutto tantissime abitazioni e con esse servizi commerciali, finanziari, ecc. In pochi anni molti comuni hanno raddoppiato il numero di abitanti, senza ricorrere all’abusivismo edilizio. Lo Stato ha avuto un ruolo significativo nel determinare il “cantiere del regno”, ma anche altri attori hanno dato il loro apporto. Tra questi, gli emigrati marocchini all’estero[2] e la classe media locale, che è già una realtà importante.
È nata una nuova classe imprenditoriale. Questo fenomeno è frutto di più cause: delle rimesse degli emigrati, delle nuove idee provenienti dall’estero, delle politiche di apertura del Marocco al mercato internazionale, delle privatizzazioni di molte imprese statali, dei risultati delle campagne per lo sviluppo agricolo, della crescita della domanda interna,[3] infine del ripristino degli antichi assi di sviluppo del Paese (che probabilmente non si sono mai interrotti del tutto). Questa classe imprenditoriale sta dando vita ad un nuovo soggetto politico, che influenza le scelte politiche del Paese e più ancora potrà farlo in futuro.
Da un paio di decenni, si nota una società civile molto attiva, che rappresenta un qualcosa di molto complesso. Sembra vi siano 30.000 associazioni legalmente costituite, che operano in molti settori. La società civile marocchina, probabilmente, è la più attiva del mondo arabo. La sua crescita inizia negli anni Ottanta e coincide con i cambiamenti economici (apertura al libero mercato, privatizzazione di realtà pubbliche, nascita dei nuovi imprenditori) e politici (l’avvento al potere del nuovo re). Non è facile inquadrare queste organizzazioni. Esse possono essere una emanazione del potere politico o autonome (nel senso che si organizzano per risolvere problemi che lo Stato non ha capacità o volontà di risolvere ed a volte non cercano alcun rapporto con esso) oppure ostili verso lo Stato. Molte di esse sono legate a relazioni familiari allargate. Molte hanno rapporti con organizzazioni estere, soprattutto Ong. Questi nuovi soggetti, la nuova classe imprenditoriale e la società civile in genere stanno producendo una nuova cultura, una nuova economia, nuove norme, nuovi valori.
Questo sviluppo è determinato da molti fattori: il sistema educativo locale, grazie anche all’apporto di quello francese, prepara ottime professionalità (il sistema educativo marocchino è, per molti versi, migliore del nostro); le classi dirigenti e la nuova classe media stanno investendo nel Paese, a differenza di quanto avviene da noi; la popolazione conserva forti legami con il proprio Paese e tutela le proprie tradizioni; il mercato interno, come è stato già detto, è in forte crescita.
Oltre alla formazione di una nuova classe di imprenditori e più in generale di una classe media, il “cantiere del regno” ha prodotto altri effetti positivi: la riduzione della povertà estrema; la speranza nella popolazione di ulteriori riforme e di maggiore benessere. Non mancano gli effetti negativi, come l’aumento dei prezzi delle abitazione, degli affitti, ma anche dei normali beni di consumo (anche perché una parte di questi sono beni d’importazione). Inoltre, i modelli di consumo tendono a cambiare, si orientano verso modelli europei.
Mentre tutto ciò avviene, non pochi marocchini residenti in Italia sono ritornati a casa ed altri stanno pensando di farlo (in parte perché costretti dalla nostra crisi, in parte perché neanche loro prevedono un grande futuro per il nostro Paese). Ciò sta avvenendo senza che nel frattempo sia avvenuto un vero scambio culturale tra noi e loro. I nostri intellettuali conoscono molto poco della loro cultura, mentre i loro intellettuali, al contrario, conoscono bene l’Europa. Anche ciò è sintomo dell’inadeguatezza del nostro sistema Paese; non è una questione da addebitare semplicemente all’insufficienza di risorse finanziarie. Continuare a ripetere che “l’Italia e soprattutto il nostro Mezzogiorno non possono fare a meno del Mediterraneo”, che “enormi vantaggi possiamo ottenere da un progetto di integrazione dell’area Mediterranea” non è altro che uno sterile e grottesco esercizio retorico.
[1] Il tasso annuale di crescita del PIL nel periodo 2000 – 2009 è stato del 4,6% – 5,0%. Si stima che sarà del 3,7% nel 2012 e che nel 2013 sarà tra il 4 ed il 4,5 per cento (fonte: Institut Royal des Etudes Stratégiques).
[2] Dalle suddette province, negli anni passati, vi è stata un’intensa emigrazione che si è diretta soprattutto nel nostro Paese ed in Spagna. Il Marocco, secondo dati del FMI, è il quarto maggior beneficiario di trasferimenti dall’estero di fondi ufficiali tra i Paesi in via di sviluppo.
[3] Nel periodo 2006 – 2011 i consumi delle famiglie sono cresciuti in media del 5% annuo (fonte: Ministère de l’Economie et des Finances).