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Il capitale umano: l’Italietta di Paolo Virzì – La recensione

Creato il 12 gennaio 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

12 gennaio 2014 • Recensioni Film, Vetrina Cinema •

Il giudizio di Elisabetta Bartucca

Summary:

Miseria e nobiltà. Facile ritrovarli nell’ultimo Virzì. Il regista livornese abbandona i toni morbidi della commedia e si reinventa, azzardando un’incursione nel territorio inesplorato del thriller familiare. “Il capitale umano” (in sala dal 9 gennaio per 01 Distribution) si lascia alle spalle le malinconiche tirate de “La prima cosa bella”, gli echi romantici di “Tutti i santi giorni” o il risvolto sociale di “Tutta la vita davanti” e apre la strada al piacere del racconto di genere: una virata verso il noir sofisticato, come il romanzo omonimo su cui si basa il film, il best seller di Stephen Amidon. Il risultato è un affresco coraggioso della borghesia e quello che ne rimane sono il livore di certa umanità, un campione dell’Italia dei furbetti del quartierino, una sfilata di ‘nuovi mostri’, un ‘capitale umano’ ridotto agli algoritmi delle agenzie assicurative.

Il Connecticut di Amidon diventa la provincia brianzola inquieta e esotica, straniante e ricca, popolata da una livida galleria di personaggi del nostro tempo: opulenti, disperati e grotteschi.

Una scena de Il Capitale Umano

Un’immagine di scena de Il capitale umano

Virzì costruisce il racconto come un mosaico, articolandolo in quattro capitoli Dino, Carla, Serena e il Capitale umano – ognuno corrispondente al punto di vista dei personaggi principali. Il regista di “Ovosodo” indaga il dietro le quinte, viola l’intimità e scopre l’ ‘inconfessabile’ di due famiglie del profondo Nord – i Bernaschi, ricchi e benestanti, e gli Ossola, medio borghesi di provincia; poi ne orchestra il destino attorno al misterioso incidente di un ciclista, che li legherà dall’inizio alla fine.

E le ‘piccole’ vite di ciascuno si intrecciano in un disegno ben preciso: l’avidità e le brame di ascesa sociale dell’immobiliarista Dino (Fabrizio Bentivoglio), i sogni infranti di Carla (Valeria Bruni Tedeschi), ricca ma profondamente infelice, la ricerca dell’amore puro di Serena (Matilde Gioli), l’impudenza di uno spregiudicato titolare di fondi di investimento, Giovanni (Fabrizio Gifuni), o le farneticazioni erotiche dell’intellettuale professorino di provincia, Donato (Luigi Lo Cascio).

Sono i tipi umani di un ritratto torbido, i protagonisti inconsapevoli di una storia corale che costringe un paese a guardarsi allo specchio e che attraverso le scudisciate di una sferzante ironia  scoperchia cinismi e ipocrisie senza assolvere nessuno. Merito di una regia composta e di un cast eccellente capace di restituire sullo schermo quello che già era stato consolidato in fase di sceneggiatura, arricchendolo di sfumature. Così una provincia del Nord assurge ad archetipo delle miserie italiche, mentre vizi e virtù di questi beffardi e impavidi protagonisti diventano la cartina al tornasole del lato più oscuro, malato e torvo di certi giochi da ‘finanza creativa’. Tutto quello che si agita sotto la coltre di un paesaggio così composto è un arrancare per restare a galla, una guerra fra macchiette al soldo del dio denaro in un mondo dove tutto diventa monetizzabile: persino la propria vita.

Non perdetevi le 5 curiosità su “Il Capitale Umano”

Di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net

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