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Il carcere del traffico e lo spettacolo della vita.

Creato il 05 ottobre 2012 da Gianlucaweast @gianlucaweast

Domani sulla Regione, nel Senso del taccuino, elogio del traffico incolonnato. Come ermeneutica dell'esistenza. Un estratto.     
Sto per scrivere qualcosa che mi procurerà qualche nemico. O mi farà passare per pazzo. Adoro finire nel traffico incolonnato. Restarmene fermo dentro la mia gabbia metallica trasparente accanto alle gabbie metalliche e trasparenti degli altri. Mi piace rimanere incollato all'asfalto davanti a un semaforo pigro che se la prende comoda, in mezzo a file di automobili. Ho imparato a trasformare l'inquietudine, l'insofferenza, la rabbia in sguardo. L'ho imparato da un amico costretto a vivere in una megalopoli mediorientale. Un giorno, eravamo entrambi seduti in un taxi prigioniero di un ingorgo. Avevo l'impressione di essere finito tra le ganasce di una enorme tenaglia, immobilizzato dalla sua stretta impassibile. “Invecchiate nel traffico”, avevo detto al mio amico, che osservava dal finestrino le altre automobili ferme accanto a noi. “Ti sbagli”, mi aveva risposto. “Nel traffico viaggio con la mia mente, riempio i miei occhi di immagini, vengo a sapere molte cose sulla vita e sugli altri.” Confesso che, da qualche parte dentro di me, la pensavo anch'io in questo modo. Eppure, non avevo mai avuto l'audacia di confessarmelo. Quel giorno, dentro il ventre incandescente e senza forma del traffico, ho aperto gli occhi. E ho capito.

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