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Il caso Braibanti | Intervista a Gabriele Ferluga

Da Uiallalla
Gabriele Ferluga, ha pubblicato nel 2003 “Il processo Braibanti” (Silvio Zamorani editore) in cui ricostruisce minuziosamente il controverso caso giudiziario. Nel 2004 ha rilasciato al mensile Pride questa intervista. | “Il caso Braibanti” sarà in scena al Teatro Nuovo di Napoli dal 20 al 25 marzo.

> guarda le foto del processo (Archivio storico l’Unità)

il caso braibantiLo scandalo Braibanti è stato uno dei più importanti scandali gay italiani. Come incominciò?

Siamo negli anni sessanta, in provincia di Piacenza. Aldo Braibanti, un intellettuale di sinistra già partigiano, conobbe Giovanni Sanfratello, di 19 anni e quindi minorenne per la legge in vigore all’epoca, con cui intrattenne una relazione profonda.
Giovanni, con l’aiuto di Braibanti, intendeva allontanarsi dalla famiglia e costruire la propria vita. I due si amavano e nell’intenzione di vivere insieme si trasferirono per un breve periodo a Firenze e poi definitivamente a Roma. Qui la famiglia Sanfratello si recò spesso per cercare di convincere Giovanni a rientrare a casa, inutilmente.

A questo punto incominciarono i guai…

In effetti - siamo nel 1964 - il padre di Giovanni, Ippolito Sanfratello, pare sia “illuminato” da un suo amico sacerdote sulla natura del rapporto che intercorreva tra Braibanti e il figlio e denunciò Braibanti per plagio, un reato creato dal legislatore fascista e rimasto unico nel quadro giuridico europeo.

In cosa consiste il reato di plagio?

L’articolo 603 del Codice Penale (che poi la Corte Costituzionale ha abrogato come illegittimo nel 1981) puniva chi sottoponeva qualcuno al proprio potere in modo da ridurlo in totale stato di soggezione. Fino a Braibanti però nessuna sentenza di condanna era stata mai pronunciata sulla base di quella norma “fumosa”.

Cosa accadde dopo la denuncia?

Il padre del giovane, insieme ad alcuni altri membri della famiglia, si presentarono alla pensione dove la coppia viveva e rapì il giovane, portandolo con la forza in manicomio.
Là, Giovanni, restò circa un anno, inchiodato alla diagnosi di “schizofrenia” e sottoposto a tutte le “terapie” previste all’epoca, cioè elettroshock e coma insulinici.
Il procuratore - che tenne aperta l’inchiesta per quattro lunghi anni, nonostante a norma di legge non potesse farlo - fece arrestare Braibanti verso la fine del 1967. Il processo fu una sfilata incredibile di personaggi legati alla destra, talvolta estrema, come nel caso del perito nominato dalla Corte Aldo Semerari.

Giovanni non accusò mai Aldo Braibanti di plagio e anzi cercò di difenderlo sostenendo che aveva avuto con lui rapporti sessuali perché gli piacevano.

Il castello accusatorio non crollò, ma si rafforzò. Si disse che evidentemente Giovanni doveva essere ancora sotto l’influenza di Braibanti e questo provava l’avvenuto plagio!

Intervista di Stefano Bolognini (”Pride” aprile 2004). | Culturagay.it


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