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Il caso Giappone: tra “ombrello” nucleare e rischio di militarizzazione atomica

Creato il 07 novembre 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi
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di Daniel Angelucci

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Seconda era nucleare: le armi atomiche sono integralmente devote alla difesa e alla politica estera degli Stati (si veda Medio Oriente, Sud Asia ed Est Asiatico); nel nuovo ordine multipolare le entità statuali stanno abbracciando le armi nucleari come strumenti di stabilità e deterrenza. Nel sistema asiatico, in particolare, la posizione del Giappone è condizionata dall’“ombrello nucleare” degli Stati Uniti (ossia dalla garanzia di protezione nucleare elargita dalla potenza occidentale in favore dell’arcipelago nipponico) e dalle minacce nucleari sempre più pressanti. Alla luce di questi primi elementi è immediatamente chiaro che non si può scartare l’ipotesi di un Giappone che emerga come potenza nucleare. Tanto sono pressanti le minacce atomiche che si vanno addensando attorno al Giappone che i tradizionali limiti allo sviluppo di armi nucleari da parte di Tokyo (culturali, istituzionali e politici) potrebbero perdere la loro efficacia.

Sia che si tratti di una conseguenza dell’aver subito i disastrosi attacchi nucleari di Hiroshima e Nagasaki, e forse come risultato della cultura pacifista che è emersa dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, fatto sta che oggi possiamo affermare che storicamente il Giappone vanta un ammirevole impegno per quanto riguarda la non–proliferazione delle armi nucleari.

Infatti, il Giappone non solo si unì all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica già nel lontano 1957 ma ne sostenne alacremente le attività. Allo stesso modo ne ratificava il Trattato di Non Proliferazione (TNP) nel 1976, supportò l’estensione indefinita dello stesso TNP presso la Conferenza di Revisione del 1995 ed, infine, fu il primo Stato a siglare con l’Agenzia il c.d. Additional Protocol (1998) permettendo alla stessa agenzia di esercitare un più stretto controllo ispettivo degli impianti nucleari giapponesi.

Alla luce di questa lodevole sequenza di comportamenti si apre tuttavia una zona d’ombra che lascia spazio a delle ambiguità rispetto all’atteggiamento di Tokyo circa lo sviluppo delle armi atomiche. Nella primavera del 2013 il Giappone, facendo riferimento al contesto di sicurezza in cui è posizionato, ha rifiutato di unirsi ad altre settantaquattro nazioni nel sottoscrivere una dichiarazione congiunta dove si affermava che le armi atomiche sono inumane e non dovrebbero essere usate sotto nessuna circostanza.

In verità questo comportamento non ha destato alcuna meraviglia tra alcuni studiosi che fanno notare come già dagli anni cinquanta del secolo scorso Tokyo si è riservata il diritto di sviluppare armi nucleari in proprio. Benché non abbia mai varcato la soglia della militarizzazione nucleare, il Giappone si muove in un delicato equilibrio tra approvazione e diniego del nucleare, dimostrando una reale sensibilità ai cambiamenti del quadro strategico asiatico. Si pensi al primo test nucleare della Cina (1964), alla fine della Guerra Fredda, all’emergere della Corea del Nord come potenza nucleare. In tutte queste occasioni Tokyo ha rivisto le proprie politiche nucleari fino ad accettare le rassicurazioni offerte dagli Stati Uniti nella forma della deterrenza estesa.

Nel corso dei decenni mantenere tale “ombrello” di protezione è diventato sempre più oneroso per gli Stati Uniti e nonostante l’arsenale nordamericano sia divenuto più accurato, è anche caratterizzato da una dimensione e visibilità molto minore. A complicare l’efficacia della deterrenza estesa è anche lo sviluppo stesso della “seconda era nucleare” che va prendendo i connotati di un ordine sempre più multipolare e pertanto meno prevedibile.

Negli ultimi tempi, il dialogo bilaterale ed un più efficiente coordinamento delle politiche di difesa sono divenuti gli elementi più importanti dell’alleanza strategica in chiave deterrente, anche se in che misura tali elementi possano mitigare le ansie di Tokio rispetto alla minaccia nordcoreana e alla potenza militare crescente della Cina sono ad oggi interrogativi dall’esito incerto.

In estrema sintesi, ed in un certo senso anticipando parzialmente il risultato di questo scritto, le scelte del Giappone in termini militari dipendono da quanto sono efficacemente gestite le potenziali minacce alla sicurezza nazionale attraverso l’impegno degli USA nell’esercizio credibile della deterrenza estesa in favore di Tokyo.

Ad un livello latente il Giappone non ha mai rinunciato a mantenere aperta l’opzione nucleare e ciò è dimostrato dallo zelo con cui s’è sviluppato il programma nucleare civile che esprime sia capacità di arricchimento che di riprocessamento e di stoccaggio del plutonio separato. Di fatto il Giappone ha il più grande programma di energia nucleare rispetto a qualsiasi Stato nucleare non militarizzato.

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta del secolo scorso, venivano postulati alcuni principi che consolidavano la posizione del Giappone rispetto al nucleare. In primo luogo, si aderiva al principio della promozione dell’energia nucleare per scopi pacifici; secondariamente si affermava la necessità di promuovere il disarmo nucleare globale. Infine, non avendo sviluppato armi atomiche, il Giappone si affidava all’ombrello nucleare nordamericano quale deterrente e strumento di protezione contro le minacce nucleari internazionali.

È stato osservato che il margine di apertura lasciato da Tokyo verso l’opzione nucleare è inteso come segnale non solo e non tanto verso i possibili avversari ma nei confronti dello stesso l’alleato occidentale. Infatti, con un Giappone alle porte in possesso della bomba atomica, gli Stati Uniti sarebbero in continua allerta preoccupati dalla possibile proliferazione nucleare e dalle conseguenze sull’ordine delle relazioni internazionali. Da qui la necessità di mantenere un serio regime di sicurezza e deterrenza USA–Giappone.

L’alleanza Giappone–USA e lo strumento della deterrenza estesa

Il Giappone ha da tempo inteso quanto sia importante per gli Stati Uniti la questione della non–proliferazione nucleare e, pertanto, ha imparato come far leva su tale campo per ottenere delle garanzie di sicurezza da Washington. Laddove il meccanismo di deterrenza estesa si dimostri insufficiente oppure si addensino nuove minacce per Tokyo, quest’ultimo si prodiga nel rendere esplicito il proprio potenziale nucleare in modo da sollecitare l’alleato ad un maggior impegno in termini di difesa nucleare.

Per ora, il meccanismo di deterrenza estesa (concepito nell’era nucleare bipolare) sembra capace di funzionare nonostante possa sembrare meno affidabile in un contesto in cui si vanno diffondendo numerose potenze nucleari regionali.

Rispetto alla potenza cinese, gli alleati possono vantare una superiorità nell’ambito degli armamenti convenzionali che, almeno per adesso, risulta ancora più importante dello stesso bilanciamento di forze nucleari. Qui subentra parte della sfida stessa che rappresenta l’apertura dell’ombrello di deterrenza, laddove la potenza (USA) che protegge l’alleato (Giappone) tramite l’arsenale atomico cercherà a tutti costi di limitare un conflitto nella regione di pertinenza al fine di evitare lo scoppio di una guerra totale che coinvolga il proprio territorio.

Seguendo questa logica Washington farà di tutto per prevenire l’escalation e l’espansione di un conflitto in Est Asia, poiché laddove non si riesca a dominare il conflitto in via convenzionale è più probabile che ci sia l’abbandono che il ricorso alla armi atomiche. Infatti, sarebbero gli USA disposti a sacrificare Los Angeles per salvare Tokyo in uno scambio nucleare?

Tutto ciò quanto precede per chiarire l’importanza che per il Giappone ha la proiezione di potenza convenzionale dell’alleato che si accompagna, in un approccio integrato, con l’ombrello di deterrenza nucleare. In questo senso una triade destabilizzante è rappresentata: (1) dalle politiche restrittive del bilancio USA, (2) dalla speculare – ma di senso opposto – aumento delle spese in armamenti della Cina ed, infine, (3) dalla scarsa volontà del Giappone di investire nella propria Difesa.

Secondo l’amministrazione americana la deterrenza attraverso armi convenzionali è decisamente più credibile della deterrenza mediante qualsiasi alternativa nucleare esistente. La sfida pressante è che proprio i continui investimenti mirati ad una superiorità convenzionale determinano, da un lato, le scelte di Stati deboli (si veda Iran e Corea del Nord) nel perseguire una opzione militare nucleare capace di compensare il divario, e, dall’altro, una corsa agli armamenti nelle potenze regionali (vedi Cina) che porta come conseguenza l’innalzamento di tensione tra le élites politico – militari giapponesi.

Tanto importante è la cognizione e la risoluzione delle questioni inerenti la deterrenza che Washington e Tokyo hanno istituito un canale stabile il c.d. EDD (Extended Deterrence Dialogue) che prevede delle riunioni bisannuali e visite ad infrastrutture strategiche per l’alleanza militare. Cosi gli USA rendono tangibile e visibile l’ombrello di deterrenza nucleare e gli investimenti che lo supportano, consentendo peraltro una migliore integrazione tra i due livelli della deterrenza (nucleare e convenzionale).

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Paesi con programmi nucleari – Fonti: The Nuclear Age

Quali sono le minacce esterne fronteggiate dal Giappone?

Mentre Washington ha un parziale controllo sulla capacità di rassicurare Tokyo, notevoli sono limiti che l’alleato occidentale incontra quando si entra nello spazio delle minacce percepite. La prima minaccia reale per il Paese nipponico è rappresentata dalla Corea del Nord. Quello di Pyongyang è un regime che dimostra poca sensibilità rispetto alla propria popolazione ed è invece assai incline ad investire nel progetto militare nucleare.

Nella malaugurata ipotesi che subisca un attacco preventivo o di un improvviso collasso del regime, la Corea del Nord, nella completa disperazione e senza più nulla da perdere, potrebbe colpire il Giappone con un attacco nucleare. Obiettivamente Pyongyang dispone già di strumenti militari con cui potrebbe farlo. I ben noti missili Nodong hanno un raggio di azione di 1500 Km ed un carico utile di una tonnellata, mentre i missili Musudan (gittata di 4000 Km) sarebbero in grado di colpire le isole di Guam e di Okinawa. Difronte alla minaccia nordcoreana gli alleati incontrano la profonda difficoltà di dover interpretare e ricostruire l’equazione comportamentale di un attore assai irrazionale come Pyongyang. Peraltro sembrerebbe che gli Stati Uniti siano più inclini a compensare l’insidia nordcoreana attraverso metodi convenzionali e ciò lascia uno spazio di calcolo per gli strateghi giapponesi sull’opportunità di percorrere la via della militarizzazione nucleare.

Per quanto riguarda la Cina basta pensare che il bilancio per la Difesa del Dragone è quasi triplicato dal 2001 per divenire il secondo in una graduatoria globale ponendo di per sè degli interrogativi strategici al Giappone. Nel lungo periodo un’altra delicata questione per Tokyo è data dalla natura crescente dell’arsenale nucleare cinese che si abbina ad uno dei più versatili ed attivi programmi missilistici.

In estrema sintesi il nodo da sciogliere per Tokyo è dato da quanto gli Stati Uniti dimostreranno di sopportare il potenziamento delle armate cinesi e da cosa Washington sarà disposto a fare in favore dell’alleato giapponese. Da questo quesito si desume che la robustezza dell’alleanza militare tra Washington e Tokyo va valutata caso per caso e non è detto che sia in assoluto sufficiente a escludere che il Giappone opti per lo sviluppo di un programma militare atomico.

Implicazioni e prospettive dell’opzione nucleare giapponese

Allo stato attuale, la probabilità che il Giappone metta in piedi un proprio arsenale nucleare è verosimilmente bassa: numerosi e significativi sono i vincoli e le barriere che scongiurano la militarizzazione nucleare del Giappone. Tuttavia questi vincoli sono soggetti a cambiamento e diverse sono le variabili, interne ed esterne, che possono condizionare l’abbassamento delle barriere potendo causare un rischioso mutamento di rotta nella politica militare di Tokyo.

Tra i fattori interni che inibiscono l’opzione nucleare c’è sicuramente il peso dell’opinione pubblica e della coscienza collettiva ancora fortemente segnata dall’orrore di Hiroshima e Nagasaki. Tanto è vero che tra il 2006 ed il 2013 alcune inchieste hanno rivelato che circa il 75% degli intervistati è d’accordo con i principi di non sviluppo di armi atomiche e di utilizzo pacifico dell’energia nucleare. Possiamo a ragione affermare che l’essere uno Stato militarmente denuclearizzato è un elemento divenuto parte integrante della nazionalità giapponese.

Accanto all’ostacolo dell’opinione pubblica per la leadership Giapponese che voglia intraprendere la strada nucleare figura la possibile opposizione di esponenti stessi del mondo politico e, ancora più difficile da superare, la frammentazione di competenze a livello politico–amministrativo. Si pensi che la stessa ricerca e sviluppo in campo nucleare (tassello chiave per un uso duale delle tecnologie atomiche) è divisa tra il Ministero dell’Economia del Commercio e dell’Industria e l’Agenzia per la Scienza e la Tecnologia.

Nella sfera economica ci sono attori che sono interessati ad uno sfruttamento puramente civile dell’energia nucleare. Ciò radica anche nel rischio che un Giappone militarizzato possa portare alla paralisi dell’industria di nucleare–elettrica per via di un dirottamento del combustibile nucleare verso l’industria bellica e, in secondo luogo, per l’obbligo di restituire lo stesso combustibile nucleare acquistato in nome di un utilizzo per scopi pacifici.

Ulteriori fattori che inibiscono la scelta dell’opzione nucleare nipponica sono rappresentati da:

1. La vulnerabilità della popolazione giapponese agli attacchi nucleari vista la densità di popolazione e la mancanza di profondità strategica del territorio. Un primo attacco a Tokyo, Osaka o Nagoya sarebbe una vera catastrofe e l’arsenale nucleare giapponese si rivelerebbe perfettamente inutile;

2. L’indebolimento della diplomazia giapponese per via dei costi associati al “ripudio” di decadi di politiche di non–proliferazione nucleare;

3. L’opzione nucleare giapponese causerebbe un’immediata accelerazione nella corsa agli armamenti nella regione; la probabile militarizzazione nucleare di Corea del Sud, Cina e Russia tenderebbero a rafforzare le proprie forze strategiche;

4. Il deterioramento delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti.

Nonostante questi fattori il Giappone persiste su una posizione di ambiguità capace di attirare l’attenzione degli Stati Uniti e la loro assistenza militare e diplomatica. Il mantenimento di una simile strategia non necessita niente più che l’abilità (esercitabile in tempi relativamente brevi) di costruire un manipolo di armi nucleari e per tale motivo la strategia stessa continuerà a ben servire le esigenze di sicurezza giapponesi. Eppure, come abbiamo visto, nel panorama di sicurezza dell’est asiatico molte sono le incertezze. Una fra tutte la presenza di un attore imprevedibile come Pyongyang capace di alterare la delicata linea di azione nipponica.

Infine, benché in Giappone poche siano le voci che si levano esplicitamente a promuovere l’opzione militare nucleare e nonostante ci siano diverse barriere a tale forma di sviluppo, la nascita di un programma militare atomico in Giappone non è completamente da escludersi. Tale possibilità diventa più probabile quando diminuisce l’efficacia dell’ombrello deterrente preposto da Washington e quando aumenta l’entità delle minacce percepite da Tokyo.

* Daniel Angelucci è Dottore in in Scienze Politiche (Università di Teramo)

Per approfondire:

Richard J. Samuels e James L. Schoff, Japan’s Nuclear Hedge: beyond “Allergy” and Breakout, 2013 The National Bureau of Asian Research

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