Ed è ovvio che Salvini, invece di evolversi, ritorni alla fine sugli argomenti xenofobi che sono stati il cuore nero della Lega da quando Roma ladrona è diventata la mammella alla quale si è avidamente abbeverato il partito. Non ha altra scelta perché il movimento ha sempre praticato un ultra liberismo di sapore provinciale, piccolo borghese e bottegaio con tutti gli ammenicoli dell’antistatalismo tout court, dell’antistato sociale, dell’anti tasse, dell’anti regole e del favore accordato ad ogni e qualsiasi privatizzazione: la sola battaglia contro l’Europa e l’euro, prodotti essi stessi della strategia mercatista, sia pure su un altro livello di strategia e consapevolezza, sarebbe poco credibile, ambiguo e contraddittorio. D’altro canto un secessionista che per vent’anni invece di lavorare ha inneggiato al Vesuvio in eruzione non può certo mutarsi in lepeniano e fare il nazionalista in nome della destra sociale. Così non gli rimane che aizzare la guerra tra poveri, unica disciplina nella quale forse potrebbe scroccare una laura honoris causa in qualche università privata pullulante di fighetti tonti in carriera, non essendo riuscito nemmeno a prendersi uno straccio di pezzo di carta.
Ma la storiella del panino purtroppo può essere adattata a qualsiasi formazione politica della triste vicenda italiana. La destra classica che Berlusconi ha portato al suo limite di sconcezza dice che va bene un panino, purché non sia imbottito e non rubi nemmeno un filo di prosciutto ai detentori degli altri 19. Il centro destra renziano fa sapere che va bene un panino purché i poveri rosiconi non s’illudano che sia un diritto e si rendano conto che si tratta di una benevola concessione padronale. La sinistra di governo si lamenta perché in quell’unico panino manca il caprino e infine gran parte della la sinistra cosiddetta radicale auspica una dura lotta perché il barista dei ricchi serva un altro sandwich con omaggio di altra europa infilzata sullo stuzzicadenti. Solo l’opposizione sociale informale, in cerca disperata di un autore e di un attore politico osa chiedere che almeno la metà dei panini vada a chi li produce.
Siamo messi così ed ecco perché il messaggio di Salvini sfonda, perché attacca un falso obiettivo, ma visibile con la sua faccia nera o l’abbigliamento zigano, mentre la scomparsa di un’edilizia pubblica, il marciume e la cialtroneria con cui viene gestito il patrimonio residuale e fatiscente, sono cose più astratte e non alla portata del materico coattismo nazionale. Il lavoro trasformato da diritto a servitù, la disoccupazione, la disuguaglianza divenuta indispensabile motore economico, possono essere tranquillamente coperti dall’immigrato additato come causa del disastro e del turbamento sociale. Certo se Salvini avesse preso la laurea in Storia che voleva prima di accorgersi che era meglio la dolce vita del politico, saprebbe che ogni immigrazione, dovunque e in ogni epoca, ha prodotto ricchezza e non impoverimento. E’ rimasto un quizzaro e un venditore di fumo come il suo omologo del Pd.
Ma c’è da chiedersi cosa propongano tutti gli altri se non un’ oscura gestione della migrazione, peraltro causata proprio dalle guerre e dalla predazione di beni in cui l’Europa è stata maestra e ora fa da valletto agli Usa, oppure una solidarietà nei confronti di persone che rappresentano in qualche modo il futuro sociale che preparano e che ci attende. Tutti sans papier, privati della carta dei diritti che spettano solo al denaro e al capitale e non più al lavoro, tutti sui barconi metaforici e alienanti verso il miraggio del vincente, dal ricercatore al dilettante di Masterchef, dal trader in pectore allo startappista, privati della memoria e delle radici, illusi da un merito che non esiste nella società diseguale e che al massimo, nel migliore dei casi possibili, porta ad essere dei kapò. Barconi a pagamento dove esiste solo la guerra individuale per le briciole.