Era il 1927 e Paul Leni, come spesso accadeva all’epoca, aveva deciso di trasferirsi negli Stati Uniti per continuare la sua carriera che, ricordiamo, terminerà prematuramente appena due anni dopo per una leucemia. La pellicola di cui parlerò oggi è la prima del regista tedesco nel nuovo continente e risulta molto particolare: prendendo le mosse dalla piece teatrale scritta da John Willard nel 1922, il regista ci mette presenta un horror a tinte fosche stemperato da alcune spruzzate di comicità.
Ci troviamo in un castello che più tetro non si può, dove abita la sola inquietante domestica, Mammy Pleasant (Martha Mattox). Il maniero era appartenuto al defunto milionario Cyrus West, il quale aveva disposto che il testamento fosse letto solo dopo venti anni. Scaduto il tempo, il notaio Roger Crosby (ennesima interpretazione di Tully Marshall) si reca nella struttura e scopre, con suo grande stupore, che sono comparse nuove volontà del defunto. Con la complicità della domestica, viene il sospetto sia stato il fantasma del defunto a far comparire le nuove buste. Nel mentre arrivano i pretendenti all’eredità: Harry Blythe (Arthur Carewe), Charles “Charlie” Wilder (Forrest Stanley), Paul Jones (Creighton Hale), la sorella Susan Sillsby (Flora Finch) con la figlia Cecily Young (Gertrude Astor), e la pronipote Annabelle West (Laura La Plante). Gli eredi attendono con impazienza la lettura delle volontà di Cyrus West, “come dei gatti eccitati alla vista di un canarino in gabbia“. Giunta la mezzanotte vengono lette le volontà e l’unica ereditiera risulta essere Annabelle. Il defunto ha però lasciato una condizione, essa potrà ereditare a patto di non essere dichiarata pazza da un dottore specialista che l’avrebbe visitata quella notte stessa al castello. Nel caso la visita avesse avuto esito negativo, Cyrus aveva previsto altre disposizioni (contenute nelle buste apparse magicamente quel giorno stesso). Da quel momento in poi iniziano ad accadere cose strane e nessuno sembra essere al sicuro all’interno del castello tra sparizioni misteriose e un pazzo che si crede un gatto e come tale andrà a caccia dei suoi canarini…
Film che ebbe uno straordinario successo all’epoca ma che forse risulta un tantino invecchiato. Il regista riesce a rendere alla perfezione un ambiente tetro e misterioso che fa da cornice a tutta la vicenda.
L’uso di inquadrature molto statiche (staticità rotta in alcuni momenti di maggiore tensione), contribuisce, secondo me, ad innalzare ulteriormente questo clima oscuro. Riguardo allo svolgimento della vicenda, Leni sembra però stentare nello sviluppo dell’intreccio narrativo e fatica a tenere alto il ritmo. Nonostante questo, i numerosi colpi di scena e il sapiente gioco tra momenti ad alta tensione seguiti da siparietti comici (retti in particolare da Charlie Wilder/Forrest Stanley) contribuiscono a rendere questo film un punto fermo del genere (tra trappole, mostri e passaggi segreti). La pellicola, infatti, ha influenzato ed ispirato molto scrittori e registi: tanto per fare un esempio, alcune situazioni mi hanno ricordato Trappola per topi di Agatha Christie (1952) oppure il film Ghosts on the Loose (1943) di Beaudine (di cui parlerò in seguito almeno per Sparrows) e, perché no, anche un cartone come Scooby doo (1969). Ricordo, inoltre, che sono stati fatti numerosi remake di questa pellicola di cui l’ultima risale agli anni 70/80. Interessante, a livello narattivo, il gioco che si sviluppa con il titolo (the cat and the canary), purtroppo maltrattato in quasi tutte le traduzioni (tranne, stranamente, in Brasile). In più di una situazione, infatti, le didascalie o i personaggi ci presentano determinate situazioni utilizzando questa espressione, di forte impatto, che mette in evidenza come i personaggi siano quasi in balia degli eventi, o forse come, più giustamente, gli eredi siano oggetto di un gioco spietato su cui non hanno alcun potere. Nonostante i presunti fantasmi, la vicenda avrà una risoluzione tutt’altro che paranormale, altra particolarità che accomunerà i film di questo tipo. Insomma ci troviamo di fronte a un Paul Leni particolare che, ancora una volta, ci stupisce e destabilizza.