Mi chiama l’ex direttore. Come stai, come non stai, auguri per il nuovo anno, dove sei stato durante le feste... e dove vuoi che sia stato? Non ho nemmeno lacrime da versare, ché le tengo per vedere se posso venderle, figurati se mi muovo di casa. Alla tv vedo spesso quei documentari etno-culinari che vanno così di moda ultimamente e mi intristisco perché so che forse non avrò nemmeno la possibilità di andare in ferie, e mi domando se mai succederà di nuovo di viaggiare per l’Europa come facevamo da giovani in sella alla mia honda 350 four.
Mia figlia piccola, ogni volta che scopre alla tv posti per lei strani e cose da mangiare diverse, mi chiede quando anche noi potremo provarle e io sorridendo mi invento risposte evasive, futuri fumosi, giorni che forse non arriveranno mai.
Ma per tornare al direttore, mi dice che di solito lui, per serietà professionale, non lavora mai su proposte, ma su progetti concreti e definitivi (anche se qualcuno mi ha detto il contrario), ma che questa volta, visti i tempi, avrebbe intenzione di lavorare diversamente e presentare un progetto a persone che, per ora, hanno solo espresso un certo interesse, nulla di più.
Chiede se sono disponibile a impegnarmi in qualcosa che non ha ancora nessuna certezza, ma solo qualche speranza. Dico che sì, io ci sto, piuttosto che starmene con le mani in mano preferisco lavorare per la speranza, anche se dentro di me sento la solita vocina che dice: “Lo sapevo che sarebbe finita così, lavorare gratis, sulla parola, sulla speranza. Manco Marchionne”.