Un romanzo inquietante e poetico che sa raccontare l’indicibile questo è quanto si legge nella copertina de Il ciclista di Cernobyl di Javier Sebastian.
Mai giudizio e sintesi sono state più azzeccate.
La scena finale, con la presentazione dei personaggi che hanno deciso di rimanere a Pripjat’ nonostante la situazione, è tra le più sincere e commoventi che abbia letto negli ultimi tempi.
L’immedesimazione è condizione necessaria per essere un buon lettore e in certi casi può essere anche condizione sufficiente a discapito di caratteristiche come lo stile, il metodo, la forma… tutte cose interessanti e spesso indispensabili per un libro di successo, ma che a mio parere devono rimanere tra gli addetti ai lavori, mentre il lettore comune normalmente è più interessato alla storia.
Una storia che si rispetti porta inevitabilmente ad una forte immedesimazione da parte del lettore e se non si resta coinvolti dalle vicende de Il ciclista di Cernobyl allora è un brutto segnale…
Qua si parla di Chernobyl ( questo sarebbe il nome corretto ) e del disastro nucleare del 1986.
A chi si stava avviando verso la maggiore età come il sottoscritto, quei ricordi sono rimasti impressi nella mente assieme ai timori e a tutti i dibattiti del caso; a maggior ragione se all’epoca si frequentava una scuola tecnica.
Era il periodo della guerra fredda, di Reagan e Gorbaciov, di Sting che cantava Russians e di tutta una serie di film e libri sull’argomento atomo, anche se decisamente spostato verso il campo militare.
Il libro racconta la storia di Vasilij Nesterenko, uno dei protagonisti della prima ora dopo l’esplosione del reattore e uno dei maggiori dissidenti che la propaganda abbia cercato di contrastare.
L’ambiente descritto è ovviamente di una desolazione unica e le persone che per vari motivi tornano a vivere a soli tra chilometri dal luogo del disastro, hanno un quotidiano improvvisato ed estremamente incerto.
Il clima che si respira sarebbe quello tipico di qualche libro di Cormac McCarthy tipo La strada o anche Suttree, senonché qui si racconta la realtà vera e allora il confronto andrebbe ribaltato.
Un libro che non appare come una denuncia esplicita, ma che tiene ad elevare la dignità delle persone delle quali racconta la storia.
Una dignità sincera che non viene mai dimenticata in ogni pagina del libro.
I brevi accenni ai fatti relativi alla centrale, sono riportati come una specie di cronaca personale e però forse è proprio questo il tipico caso di silenzio assordante.
Non serve raccontare come possa essere accaduto tutto ciò, è sufficiente descrivere pagina dopo pagina, riga dopo riga, le condizioni di vita nella cittadina, con le zone ad alta pericolosità segnalate da righe colorate e la morte scontata dei protagonisti.
Mentre da noi si sconsigliava il consumo di insalata e di latte, delle persone vivevano e vivono ancora oggi a stretto contatto con il mostro.
Il libro rappresenta un’ottima occasione per approfondire un argomento da molto tempo messo da parte.
Tempo di lettura: 7h 14m