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Descrivere una città e le sue atmosfere non è facile, trasmettere a chi non ha calcato le tue stesse strade le emozioni ed i colori è impossibile, quasi come raccontare la dolcezza di una carezza, il corpo di una donna mai vista, le lacrime più segrete versate in solitudine silenziosa. La Berlino che vidi nel 2000 era figlia della rivincita di un periodo durato un’intera epoca, quella del Novecento, appunto; quella di oggi va oltre, non rinuncia all’integrazione e a certi aspetti della sobrietà tedesca, della proverbiale efficienza, ma ti trascina in mille mondi diversi attraverso rapidissimi viaggi in metropolitane pulite dove tutti hanno il biglietto anche se nessuno controlla e i tornelli non ci sono, quasi come se ogni divisione dalla vita comune, oggi, venisse sempre vissuta come un pericolo di separazione dalla vita.
Il mondo non è più est e ovest e nemmeno Berlino fa differenza, una giovanissima metropoli europea che convince con i propri prezzi i giovani molto più di quanto non riesca a fare la vitale e cara vecchia Londra; la capitale tedesca ti avvolge tra cemento e gru a ogni passo per poi rigettarti in immensi spazi verdi che ti cascano davanti all’improvviso e ti ridanno vita, fiato, speranza. Annulla l’estetica austera e povera dell’Alexanderplatz comunista ma non cancella Karl Marx, né il mausoleo di quelle migliaia di altri comunisti che vinsero Hitler nel 1945 lasciando la vita, giovani e sbarbati, a migliaia di chilometri da Mosca.
Una città dove oggi tutti sono in cerca di un qualcosa che non c’è più, della più atroce follia che la mente umana potesse pensare, un muro per chiudersi dentro sfruttando la propaganda per convincere qualcuno che, in realtà, quel muro fosse lì per tenere fuori altri. I cattivi. Tutti in cerca di questo muro avvolti da mille altre cose che ti fanno alzare la testa, guardarti introno, attraversare ponti e boschi, zoo e caos metropolitano. A Berlino c'è un popolo ferito che non lascia trasparire nessun rancore, che ancora oggi porta le cicatrici di ciò che ha fatto ad altri sotto il dominio della croce uncinata e si gode una riunificazione ormai consolidata ed inattaccabile, che porta con sé solo qualche traccia sparsa qua e là, per ammutolire tutti quei passanti che toccando il freddo cemento del muro che fu provano ad immaginare, a pensare, a capire. Non si può capire la follia, ma si può immaginare il silenzio, la neve, il freddo, e sembra di sentire ancora le vite degli altri, a volte, quelle vittime del regime più cruento dell’Europa in versione cortina di ferro.
Berlino, la Germania, hanno reagito come sempre, prima nel cuore della storia più sanguinaria dei tempi recenti, ora in quella rivincita che avanza costante anno dopo anno, casa dopo casa, immersi nell’acqua e nel vento, nel clima un po’ pazzo di primavera, tra i colori di Kreuzberg, i suoi odori di spezie, le tante facce diverse e i murales, le luci di Mitte, il grigiore della triste e gloriosa Alexanderplatz e i freddi palazzi moderni di Potsdamer Platz; i parchi e le fontane immerse nel verde, la calma di Tiergarten e la fretta dei mezzi pubblici ordinati e puntuali, i punk e i piccoli caffè di Friedrichshain. La cordialità della gente, la birra e i tifosi pazzi di una finale di coppa che si aggirano per la città in cerca di quello stadio che la tua nazionale ha reso immortale nel 2006 per la storia del nostro piccolo paese, così lontano, vecchio e maldestro a confronto di una sola grande città.
E poi lui, il muro, un’attrazione per writers di ogni angolo del pianeta, una linea sull’asfalto che di tanto in tanto segna la follia che fu, un punto morto, tenuto in piedi di fronte ad un cimitero un tempo sconsacrato dai soldati dell’est per lasciar posto a quella lingua di terra di nessuno che divideva l’inizio delle difese militari dal muro e dall’occidente. Soldati armati dietro cavalli di frisa prima che iniziasse la Berlino Est vera, la città sormontata dall’immensa, grigia e orribile torre della televisione, l’unico punto visibile da ogni luogo della città, l’unica punta lanciata verso un cielo che nessuno ha mai potuto dividere e che almeno una volta al giorno, quando a Berlino è primavera, si oscura, s’incupisce, tentenna e piange. Piange sulle croci bianche, sui memoriali, sulle foto delle vittime, sulle vergogne del nazismo. Piange sul muro, che per anni separò le vite di un popolo offeso ed occupato, militarizzato, oggi troppo giovane ed inarrestabile per sentirsi di nuovo vittima o colpevole di qualcosa. Lo stesso cielo per tutti i tedeschi, quello che il muro mai avrebbe diviso. Il cielo sopra Berlino.
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