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Darren Aronofsky ha trovato il suo stile. Non è da tutti. Ha sviluppato la tecnica registica "dell’epidermide", ovvero la capacità di restituire al pubblico una gamma di sensazioni legate alla pelle. Ieri lo ha fatto con The Wrestler, oggi lo fa con Il cigno nero (Black Swan). Là la pelle era maschile, non più tonica, provata dalle botte e dal tempo che passa, puzzolente di sudore, di roulotte e di alcool. Qui la membrana è femminile, tonica, profumata di verginità, provata dagli sforzi che solo una ballerina di danza classica può sopportare.
Nina (Natalie Portman), questo il suo nome, vuole e deve interpretare il doppio ruolo di cigno bianco e cigno nero nel balletto Il lago dei cigni. Ma lei, pur essendo un’ottima ballerina, è solo cigno bianco, inibita com’è da una madre che la tiene soggiogata in casa e da una professione che non le ha permesso di fare esperienze di “vita vissuta”. La lotta per la maturazione è su più fronti, ma è soprattutto una battaglia con sé stessa. Riuscirà Nina a far uscire il cigno nero che c’è in lei?
Nina è stritolata dai suoi demoni, dalla sua voglia di essere perfetta, dalla sua voglia di essere, allo stesso tempo, una ragazza che si diverte come tutte le altre. Ma non può, si deve controllare: nel mangiare, negli esercizi, negli orari. Non riesce tuttavia a soffocare la sua parte animalesca, legata al sensibile. Ecco allora che la pelle comincia a lacerarsi, a tagliarsi, a sanguinare. Nina non riesce più a controllare la forza dirompente di un cigno nero che ormai si sente prono per uscire.
Chi rende possibile la tensione (anche della pelle), chi ce la fa sentire, è Natalie Portman, praticamente perfetta. È impossibile non partecipare empaticamente a ciò che le sta capitando. La sua pelle è la nostra, il suo disagio pure. Anche noi sentiamo la sua metamorfosi, siamo ad un passo dal diventare come lei. Miracolo che solo una recitazione perfetta come questa potrebbe far diventare realtà. Se non fosse però per qualche pecca nella storia.
Come è già stato detto Afronofsky riesce a farci partecipare empaticamente alle vicissitudini della protagonista, anche grazie al suo stile. Ma si ha l’impressione che con Il cigno nero si fermi alla superficie (all’epidermide) della questione.
In primis i dialoghi, sovrabbondanti di ovvietà e di frasi fatte, talvolta finiscono per spezzare quella tensione e quel ritmo che le immagini non faticano a veicolare. Secondariamente il ricorso ad un’analisi del tema dello sdoppiamento e del rapporto madre/figlia mette a nudo tutti i suoi limiti dimostrando che sarebbe sufficiente solo in un tema di quinta elementare. (È questo il vero punto debole del film che non ci fa urlare al capolavoro). Infine risultano sbrigativi gli elementi retorici legati alla trasgressione. (I riferimenti alla droga e alla discoteca si potevano tranquillamente evitare). Buono, invece, il motivo ricorrente della masturbazione, pratica che mette in gioco l’epidermide diventando occasione di crescita che porta al conoscimento di sé stessi e del piacere.
L’involucro ci può dare molte e importanti informazioni sul contenuto. Contenuto che era più profondo in The Wrestler.
Voto: 8,5 su 10
(Film visionato il 19 febbraio 2011)
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