Locandina Il Cigno Nero, 2010
L’Oscar alla bellissima attrice israeliana Natalie Portman, consegnato durante la tradizionale cerimonia che si è tenuta l’altra notte a Los Angeles, è senza dubbio uno dei più meritati.Lo sa bene chi ha già visto Black Swan, quel Cigno Nero che da noi, come spesso accade, è arrivato con notevole ritardo rispetto al resto del mondo. Uscito nelle sale italiane il 18 febbraio, il film di Darren Aronofsky (già autore di Requiem for a dream e The Wrestler) era infatti già stato presentato a Venezia, dove a settembre aveva aperto al Mostra del Cinema. Thriller psicologico ambientato nel mondo del balletto newyorkese, il Cigno Nero è uno dei quei film in cui è l’attrice protagonista – in questo caso una sublime Natalie Portman – a fare la differenza. Perché il film, che gioca ripetutamente con gli elementi classici del cinema horror, è interamente incentrato sulla ballerina Nina, fragile e innocente al punto da suscitare emozioni contrastanti in chi la guarda; istinto di protezione da un lato, irritazione dall’altro. Cupo, ipnotizzante, visionario e ambiguo, senza per questo risultare incomprensibile, il Cigno Nero trasfigura simbolicamente l’inarrestabile discesa negli inferi di un animo che ha rigettato il male nella stessa maniera in cui rigetta il piacere: inconsapevolmente, senza appello. Ma il male non è qualcosa che si può sotterrare senza conseguenze, negandolo come un misfatto senza testimoni. Il lato oscuro, che nel film assume le sembianze dell’erotismo, rappresentato da una Mila Kunis perfetta nella sua scandalosa naturalezza, dell’invidia e dell’ambizione, esige di incarnarsi nella regina dei cigni per condividere la scena con il suo candido alter-ego. Si tratta in fondo dell’eterno dilemma dell’essere umano, in bilico tra bene e male, alla perenne ricerca di un compromesso, consapevole che se convivere con entrambi vuol dire giocare col fuoco, rinunciare a uno di essi è peccato mortale. Non si può odiare il cigno nero senza rimpiangerlo, senza sentirne la mancanza con un dolore tale che può condurre fin sull’orlo della pazzia.Il film insegna che quello che celiamo con più accortezza, quello che non riusciamo ad accettare, quando trova uno spiraglio per uscire allo scoperto non può che trionfare, forte degli anni passati a nascondersi, a covare, come un germe che infetta tutto ciò che incontra sul suo cammino. E l’ambizione, l’ossessiva ricerca della perfezione, è essa stessa perversione e peccato, perché per essere perfetti occorre come prima cosa distruggere ogni traccia di umanità.Nel Cigno Nero, Aronofsky si serve del classico Lago dei Cigni per mettere in scena un femminile arcaico e inaccessibile, incarnato da personaggi che sono vittime e carnefici al tempo stesso. Non è certo un caso, infatti, se l’intera trama cementifichi la propria solidità su una galleria di figure femminili eccessive eppur credibili, pilastri di una narrazione che sa spaziare dall’horror al drammatico, dal thriller all’erotico. Sullo sfondo, poco più che una semplice comparsa, il maestro di danza interpretato da un pur bravo Vincent Cassel, unico personaggio maschile, che a mio parere manca della credibilità necessaria per affascinare fino in fondo. Troppo piatto, troppo prevedibile nella sua scontata e perversa impotenza. In complesso un film da guardare, bello come non se ne vedevano da un po’, che gli amanti del genere ameranno alla follia e che ricorda vagamente un certo Lynch, seppur annacquato e reso decisamente più accessibile. Ma soprattutto, un film dalla duplice lettura: intrigante se possedete un’accentuta vena psicologica, semplicemente godibile se siete amanti del thriller.Potrebbero interessarti anche :
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