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“Il Cinema western mi ha insegnato il valore del paesaggio”

Creato il 03 febbraio 2011 da Fabry2010

 

“Il Cinema western mi ha insegnato il valore del paesaggio”

Foto: Flickr

Articolo di Gianluca Bonazzi

Amo il cinema di molti generi e autori, ma quello che considero il genere ‘ponte’ tra l’idea del passato e del futuro, che mi ha insegnato a sentire il valore del paesaggio e delle storie umane, è il cinema western.
E’ vero che il cinema è stato inventato in Francia dai fratelli Lumière, ma una volta che è sbarcato in America
è servito ad una nazione, ad una società ed ad una comunità per rappresentarsi.
Cresciuta l’ America fino a diventare nazione guida del mondo, quei film hanno cominciato a parlare anche a noi, al cuore dell’Europa, in quanto crescente appendice americana, e quindi anche a noi italiani. 
Il cinema western americano, dalle origini del muto dei primi anni del ‘900 fino a quello degli anni ’80-‘90, è un albero infinitamente ramificato, capace di offrire molteplici spunti di riflessione, anche sulla nostra storia, da quella degli antichi romani fino a quella del secondo Dopoguerra, ancora del tutto attuali.
Vennero sviluppate varie tematiche e, a seconda dell’anno di uscita del film, in un modo o in un altro, più o meno aperto alle sensibilità profonde, spesso anche anticipandone l’importanza presso il pubblico.
Suddetti temi sono presenti da sempre nella storia dell’uomo occidentale, ma con l’avvento della rivoluzione industriale su scala mondiale hanno acquisito un’importanza e una risonanza ancora più forti e vorticose.
Essi sono:
la ricerca dell’Eden, del Paradiso, della Terra Promessa;
l’incontro e lo scontro tra popolazioni autoctone e i coloni, arrivati dall’Europa, e i loro discendenti;
il rapporto tra Uomo e Donna, tra vita e religione, tra legge e giustizia, tra uomo e paesaggio;
l’importanza del paesaggio ai fini di una storia.
lo sfruttamento delle risorse;
la terra come bene privato;
lo spirito dell’avventura.
Tale ciclo di film può essere considerato la risposta visiva e moderna a quelli dei grandi cicli epici del passato, dai racconti di Omero a quelli di Virgilio, di Dante e di tutte le altre grandi saghe.
E’ evidente come il fattore ‘tempo’ nel caso dei western, tra lo svolgersi vero della storia, la sua realizzazione e la finale visione, sia molto più breve che in tutti gli altri casi.
Questa veloce considerazione aiuta a capire ancor meglio come tale genere costituisca un ‘unicum’ nella storia dell’immaginario popolare, e come il Tempo avrebbe assunto sempre più importanza nella storia della civiltà occidentale.
Ciò che mi affascina però più di ogni altra cosa è il paesaggio: infinito quasi sempre, spesso solenne, di terre dure o dolci da vivere, da coltivare o da attraversare, per condizioni naturali, climatiche e ambientali.
Nutro di continuo il mio immaginario alla fonte di queste incredibili (perché viste oggi sembrano non più credibili) storie e ciò mi consente di mantenere puro il mio sguardo, nell’oscurità di molto cinema insulso attuale, dove non per caso il paesaggio è solo uno sfondo qualsiasi, una decorazione, una cornice.
Non è pure un caso che tale genere sia considerato meramente maschile, perché per tanti anni le storie raccontate riflettevano il punto di vista dell’uomo, mentre la donna era relegata sullo sfondo.
Comunque, nulla di nuovo sotto il cielo della storia occidentale, perché anche nella realtà dei secoli la donna è sempre stata considerata poco, o comunque ad un livello inferiore rispetto all’uomo.
Il cinema western racconta da dove veniamo, nel tempo e nello spazio, ma come se ci inviasse la nostra immagine speculare; come se, guardando quei film, potessimo vedere noi stessi nel negativo di una foto.
Non siamo proprio noi, ma siamo il nostro ‘doppio’ vagante nell’iper-spazio-tempo, dove alberga il nostro io più profondo fatto di sogni e incubi, speranze e delusioni, gioie e dolori, cioè di vita e di morte, messi alla prova in ogni istante e per sempre nel farsi del cammino.
Titoli leggendari, spesso accompagnati da musiche inneggianti al mistero dell’avventura che è la vita, serviti
non da attori e da attrici, ma da persone che sembravano recitare se stesse, per raccontare storie piene di fascino su un’epoca lontanissima, eppure distante da noi solo poco più di un secolo, quando tutto ebbe inizio: questo è stato il western!
Ogni realtà che si occupi di paesaggio non può prescindere da esso: costituirebbe una grave mancanza.
Invece, più ci si è allontanati dall’idea di paesaggio, col quale ognuno deve fare i conti prima o poi nella vita, più il western è stato dimenticato, rimosso, sepolto.
Anche perché non si può essere soli a organizzarne la realizzazione: è necessaria una squadra affiatata di operatori diversi (regista, sceneggiatore, attori, ecc. ecc.), cosa oggi alquanto difficile, altrimenti lo spettatore non potrà mai avvertirne il respiro congeniale ai fini di una storia avvincente, inserita in un paesaggio ideale.
Suddetto genere rispondeva anche al bisogno dell’uomo occidentale, almeno a livello mentale, di pensare che ci fossero ancora terre da esplorare e racconti da ascoltare, ma lo sviluppo permanentemente produttivo e consumista ha cancellato tutto, e soprattutto la disponibilità a stupirsi, ad incantarsi.
Colonizzato l’immaginario, la vita traumatica degli ultimi anni ha suggellato la definitiva morte del genere.
Fa quindi venire commozione e tristezza vedere le foto dei ‘set’ dove son stati girati i film: un vero/non vero
che quindi sfugge alla percezione di quel mondo, neanche si potesse andare di persona a visitarlo.
Forse per questo qualche appassionato ama incamminarsi ancora sui sentieri delle storie del selvaggio West, e sarà così per sempre, perché il principio dell’infinito che il West emanava non potrà mai essere vinto.


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