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Quella appena conclusa è stata la prima crisi di governo seguita e commentata dal cittadino comune mentre si svolgeva, grazie a Twitter, il social network creato a San Francisco nel 2006, che oggi conta 100 milioni di utenti attivi in tutto il pianeta e un traffico giornaliero di circa un miliardo di messaggi.
Il mio primo cinguettio (tweet) risale al 25 febbraio scorso, ma soltanto da poco ho iniziato ad apprezzare le potenzialità di questo strumento di comunicazione rapido ed efficace. Per parecchi mesi l’ho utilizzato raramente e male. Un atteggiamento diffidente dovuto all’esperienza negativa avuta con Facebook due anni fa, quando avevo aperto un profilo che chiusi dopo neanche un mese perché – motivazione allegata alla richiesta di cancellazione – “pensavo fosse un luogo dove ci si incontra e si discute, invece mi sembra un posto frequentato da guardoni ed esibizionisti”. Le vite degli altri attraverso il buco della serratura e l’ostentazione delle proprie “imprese”, con un’invadenza a volte insopportabile, basata sulla distorsione semantica del concetto di amicizia. Su Faceboook si diventa “amico” di qualcuno, termine abusatissimo e quanto mai inflazionato. Su Twitter si è invece “seguace” (follower), vocabolo più appropriato per mantenere la corretta distanza tra persone che non si conoscono, ma si “seguono” perché uno trova interessante ciò che l’altro dice. Un tweet “retweettato” da un centinaio di utenti sintetizza con ironia la differenza tra i due social network: “Twitter ti fa amare persone che non hai mai conosciuto. Facebook ti fa odiare persone che conosci da tanto tempo”.
Secondo la definizione ufficiale, Twitter è un servizio di microblogging che consente di postare messaggi non superiori a 140 caratteri – contenenti anche immagini e video – per mettere a disposizione degli utenti “notizie complete, chiare e soprattutto brevi” (Marco Castelnuovo, La Stampa). Una rivoluzione nel modo di fare informazione manifestatasi già durante le crisi che hanno interessato i Paesi del Nord Africa, con gli aggiornamenti sugli scontri e le violenze “in presa diretta”, grazie ai tweet inviati con il telefonino da rivoltosi e giornalisti freelance. Per introdurre una tematica d’interesse o partecipare a qualsiasi discussione si usano gli hashtags, parole precedute dal simbolo “cancelletto”. Nei giorni scorsi, #rimontiamo, ideato da Stefano Bartezzaghi anagrammando “Mario Monti”, è stato tra i TT (trending topics) inseriti da politici, giornalisti – i più interessati al fenomeno Twitter – e appassionati del web nei rispettivi commenti sull’evoluzione della crisi politica italiana; #OWS è invece da due mesi la parola-chiave per essere aggiornati sulla protesta che vede impegnato il movimento degli indignati Occupy Wall Street a Manhattan.
In Italia, il numero degli utenti è aumentato esponenzialmente dopo l’arrivo di personaggi del mondo dello spettacolo, su tutti Fiorello che si diverte a fare di Twitter una specie di “sala prove” per i suoi numeri. Tra i politici conquistati di recente dal cinguettio della rete, anche i leader di partito Bersani, Casini, Vendola, Di Pietro: #opencamera l’hashtag utilizzato da molti parlamentari e giornalisti per comunicare all’esterno, in diretta, ciò che accade durante le sedute parlamentari. Le notizie ormai passano prima da Twitter. Ma l’aspetto più intrigante è dato dalla possibilità di riuscire ad interloquire con i protagonisti della vita politica e culturale, ad esempio “guardando insieme” e commentando qualsiasi programma televisivo: cancelletto prima del titolo (#piazzapulita; #serviziopubblico; #portaaporta, e così via) e il gioco è fatto.
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