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l compito di un allenatore sportivo credo sia quello di tirare fuori da ogni atleta, dal più modesto al più forte in assoluto, le motivazioni per farlo rendere sempre al 110% in più rispetto alle proprie possibilità, cercare una organizzazione di gioco di squadra che possa favorire le “stelle” facendole brillare di più e sfruttando tutto il loro talento, e far rendere partecipi all’obiettivo tutti, anche e soprattutto coloro che possono dare di meno, ma che danno tutto quello che hanno, sempre in una logica di crescita e soprattutto di vittoria.E questo discorso può andar bene per i professionisti, per le società medio importanti, poi esiste una realtà diversa, quella delle società e dei tesserati pseudo professionisti, un pò più dell’amatoriale vero e proprio.
E qui si apre un baratro, società senza soldi, società satelliti che servono solo per scaricare qualche soldino della squadra maggiore, milioni di tesserati per avere rimborsi, vendite di cartellini di giovani ragazzi per un paio di palloni, insomma anche in questo campo ci sono i parassiti, che magari spesso lo fanno per amore dello sport e per cercare di fare un altro anno in quella serie, ma il più delle volte abbiamo a che fare con sanguisuga che comunque in tasca qualcosa se la mettono.
Poi ci sono gli atleti, i giovanissimi che sognano ancora di diventare qualcuno, i meno giovani che cercano di migliorarsi e togliersi qualche soddisfazione e gli anzianotti che non si rassegnano ad appendere l’attrezzo al chiodo e resistono anno dopo anno.
Poi ci sono gli arbitri, e qui veramente un grazie alla categoria che permette a tutti gli sport di andare avanti, ma resto convinto che chi sceglie questa strada ha una qualche ragione personale per voler soffrire.
E poi ci sono gli allenatori, e mi soffermerò su questa categoria con la quale ho iniziato l’articolo.
Il mio primo allenatore è stato mio padre che avendo passati calcistici ha cercato sempre di instradarmi verso il calcio, e ricordo (nel senso che mi hanno raccontato) di interi pomeriggi di sedute di solo “piatto destro” e “piatto sinistro”, e devo dire che comunque è servito vista la mia ambidestrosità nel calcio, ma poi la mia strada è stata quella del basket.
Il mio primo allenatore è stato uno dei migliori allenatori di basket campani (mi asterrò dai nomi in modo da non essere querelato da nessuno, ah ah ah), era anche il mio professore di educazione fisica e sicuramente ha inciso nella scelta della palla a spicchi, coinvolgendoci anche in tarda età (avevo già 15 anni quando ho cominciato a giocare a basket), e anche se in 3 ore settimanali ci ha dato fondamentali forti in 3 anni di frequentazione del suo corso (certo, era un corso di basket della mia scuola, non era una società di basket, ma tanto era).
Finito il corso sono finito in una società casertana che stava puntado al futuro, era giovane e molto affamata, e l’allenatore incontrato li è stato sicuramente la svolta. Una persona che faceva del basket il suo lavoro primario, preparazione degli allenamenti fino ai minimi dettagli, scouting rigoroso, un caratteraccio, iroso, perdeva facilmente la calma, ma tecnicamente preparatissimo, strategicamente fantastico, per la categoria e per gli anni forse anche un precursore, con una squadra senza talenti, o con pochissimi talenti tirava fuori il meglio, con allenamenti che non scocciavano, umanamente sapeva prendere i giocatori uno a uno e motivarli, facendo capire ruoli e compiti, dava indicazioni precise, faceva e obbligava a scelte precise.
Poi ci spostiamo nel salernitano, un allenatore con uno squadrone di stelle, ma che non sapeva minimamente gestirle, subiva l’ego delle stelle che di volta in volta volevano risolvere le partite, non dava compiti ma lasciava giocare, e veniva alla fine guidato dall’esperienza dei più vecchi, ma comunque una esperienza di serie superiore senza paragoni.
Poi ancora ci avviciniamo a Napoli, una squadra con tanta storia ma poca dirigenza, anzi una dirigenza occupata a fare altro, e un allenatore a cui sicuramente devo riconoscere preparazione e dedizione, preparava le partite, aveva anche un ottimo rapporto con tutti, ma era troppo conservatore, non prendeva rischi e vinceva e perdeva sempre nello stesso modo.
Poi ancora l’esperienza più lunga, in una società giovane, autogestita da alcuni dei giocatori più anziani che man mano si facevano da parte, e un allenatore che è caduto nell’essere troppo amico di alcuni giocatori e quindi ha perso l’obiettività nel giudicare prestazioni e scelte, anche al di là dei numeri e dei fatti. Ma una bellissima esperienza umana, con la crescita personale e societaria di anno in anno.
Poi la decisione di non spostarmi più, di restare a Napoli, l’inserimento in una squadra di veterani, con un allenatore esperto, calmo, preparato, ma che non aveva come primario interesse questa squadra, non facevamo allenamenti, per cui cosa si poteva chiedere?
Ancora poi la “chioccia” in una squadra di giovincelli, in cui senza allenamento e con la sola partita del we mi sono divertito tantissimo, con tanti ragazzini che ti ascoltavano come un “esperto” e tante capoccione dure…
E siamo all’epilogo, una squadra che mi riprende dopo l’operazione alla milza, un allenatore preparato, praparatissimo, che curava le partite, indicava cosa voleva, ma con una squadra che doveva essere diretta con maggiore pugno di ferro, giocatori con talento, altri con mezzi fisici, ma ovviamente tutti giocatori già arrivati, che si vedevano per allenarsi e divertirsi, un vero gruppo di amici, in cui però serviva un sergente di ferro, e non un “maestro”, allenamenti troppo lenti, senza ritmo.
Poi stessa squadra, a metà campionato vado via, un pò per la salute un pò per incompatibilità caratteriale con il nuovo coach, quale coach? boh, uno che ha il tesserino di coach.
Riprendo l’anno dopo, stessa squadra, ho 39 anni, mi chiama il nuovo coach, questa si chiama lusinga, ci sa fare… mi dà carta bianca su allenamenti e quanto altro, ci divertiamo, la squadra è veramente un gruppo, addirittura una cena a casa mia, non succedeva da secoli, insomma veramente amici, ma i risultati non arrivano, il coach è giovane, si impegna, gli allenamenti sono anche divertenti, ma lo seguiamo poco, doveva essere anche lui molto più duro, ma ha le ossa e si farà….
Poi quest’anno, decido di forzare, volevo portare Jacopo a vedere giocare il papà, ma non ci sono riuscito.
Primo allenamento, siamo 18, vabbè mi dico, è sempre così all’inizio dell’anno, ma a quanto pare siamo 18 che giocano e che devono giocarsi 8 posti. Vabbbè, non è un problema giocherò poco, quando giocherò, faccio allenamento e mi diverto con i miei amici. Se ci sarà occasione giocherò.
Riunione a centrocampo, primo allenamento.
“L’anno scorso vi ho visto giocare, facevate schifo, veramente brutti a vedere, io vi avrei fatto giocare in modo diverso, ma quast’anno non può andare peggio!”. A quanto pare è riuscito a fare peggio.
Chi era l’allenatore? quello di 2 anni prima.
Dimenticavo, io ero il vecchietto della squadra, deputato a fare il capitano, dopo 2 settimane di allenamento il ginocchio cede, avesse fatto una telefonata per sapere se ero vivo, questione di stile.
Tutto questo per dire cosa? nulla, che in campo ci vanno sempre i giocatori, che l’allenatore si vede in settimana, e durante delle scelte tecnico/strategiche durante la partita, ma un allenatore è colui che motiva, che da ragioni di dare di più, che ti fa sentire indispensabile, colui che dice a tutti e 10 che sono i migliori della squadra, che senza di loro la squadra è nulla, ma che da i compiti precisi, che indica la direzione, e che soprattutto guarda in faccia i suoi giocatori, non guarda a terra quando da un messaggio, ma te lo fa arrivare diretto, che ha una sola posizione e non una con i giocatori e una con la Società… ah già, ma questo è un allenatore.
Ovviamente questa è la mia esperienza di 25 anni di basket, potrò non aver capito nulla in questi anni, ma è solo quello che mi sono portato dietro da esperienze fatte, da docce in spogliatoi da terzo mondo, da scorte di polizia per uscire da un palazzetto e da un paesino della costiera, da migliaia di serate di allenamenti, di tiri fatti, di birre bevute dopo gli allenamenti, di storie di basket vissute o solamente “sentite”.