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Il colloquio di Daniela Vassari

Creato il 16 gennaio 2015 da Junerossblog
Rubrica Nuove Penne a cura di SereJane
Il colloquio di Daniela Vassari

Carissime amiche, è bello ricevere ancora racconti per la rubrica “Nuove Penne”. Per noi è davvero sempre un piacere leggere i vostri lavori, perché sappiamo quanta fatica vi siano costati!
Oggi è il turno di Daniela Vasarri. Il suo è un racconto senz’altro molto attuale, in tempi di crisi e di disoccupazione e porta il titolo di “Il colloquio”. Quante di voi non hanno provato quella tremarella prima di un colloquio? Quante di voi non erano terrorizzate alla prima selezione? E quante di voi non si sono ritrovate ore e ore davanti alla specchio indecise su che cosa indossare?
Beh sono sicura che ognuna di noi, ha passato tutto ciò ;) 

Il colloquio spaventa anche la protagonista del nostro racconto, ma è troppo decisa a riscattare la vita vissuta sempre umilmente da lei e sua mamma per provare timore.
Riuscirà a convincere il selezionatore? Otterrà il posto che sogna? Renderà finalmente orgogliosa sua mamma?
Non vi resta che scoprirlo leggendo.
A me non resta far altro che augurarvi buona lettera e ricordarvi che siamo sempre disponibili a leggere i vostri preziosi lavori ;)
SereJane

Il colloquio di Daniela Vassari
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Il colloquio di Daniela Vasarri
Mi applico le ciglia finta, stendo con cautela il colore sul viso, delineo i contorni delle mie labbra, in modo che risultino più piene e sensuali. Non ho molta scelta su ciò che devo indossare, una giacca corta e un pantalone in tessuti leggeri, una camicia morbida come la linea delle scarpe, piuttosto alte e scomode in verità.
Ripasso quanto va detto e quanto evitato, piccole tecniche per offrire un’immagine di me stessa incisiva, perché loro, i selezionatori, ne intervistano molte, ogni giorno, di persone alla ricerca di un impiego e ben sanno sintetizzare punti di forza e scovare quelli di debolezza nei candidati.
Persino il mio gatto getta un’occhiata al mio insieme, ma pare non sia di approvazione, un misto di disinteresse animale e dimagica saggezza . Forse dovrei rivedere il mio look, ma non ho tempo, pazienza.
Voglio quel posto di lavoro, ma non sono disposta a cedere a compromessi con me stessa. Conosco l’argomento, parlo bene la lingua straniera richiesta, ho un discreto percorso professionale. Eppure.. vogliono altre prove e solo perché pochissime donne sono ammesse alla selezione.
“non ci sperare tesoro, sono gli uomini che tengono il potere nel mondo del lavoro” mi ripeteva mia madre ogni sera, con un rassegnato ritornello, dopo una giornata passata in negozio a ripiegare maglioni e a riordinare; sapevo che doveva accondiscendere ai malumori del direttore, che spesso la umiliava, sempre pronto a zittirla davanti alla clientela maschile, composta per lo più da uominispesso privi di gusto.
Sono cresciuta con quel ritornello nella testa e più mi frullava minaccioso, più cresceva in me la ribellione.
“parto” le dissi due mesi dopo la morte di papà.
“studierò mamma e non finirò a piegare abiti come te. “ Mamma si accartocciò come un frutto disidratato, nel momento in cui mi pronunciai, paragonandomi a quegli odiosi clienti arroganti,sapevo che avrei potuto risparmiarmi di ferire mia madre, ma nel cuore nutrivo il desiderio di riscattarla.
Mi applico le ciglia finta, ne ho bisogno perché non sono più folte come quando lasciai mia madre, sono anni che non la vedo, ma so che, almeno lei, non è cambiata. Continuacertamente a piegare maglioni con rassegnazione, e forse, quando mi pensa, mi immagina sconfitta, suo pari.
Il selezionatore è uguale a cento altri incontrati, sembrano usciti dalla stessa sartoria, cambia appena lo spessore della riga del gessato, In alcuni poi il calzino è stonato, ma in quei momenti di intervista nessuna delle candidate può notarlo.
“Si accomodi” mi dice con aria indifferente, dandosi un tono di superiorità. “Lei ha un percorso professionale eccellente, a che posizione ambisce?
Mi appare mia madre, inginocchiata a puntare spilli ai pantaloni borghesi, trattengo il respiro e poi d’un fiato rispondo: “Aricoprire quella migliore offerta dal suo cliente, perciò le sarei davvero grata se mi volesse introdurre così che sia io a presentarmi” respiro, pensando che forse ho osato troppo.
Persino le righe del suo abito hanno un impercettibile fruscio, il selezionatore tenta di non perdere l’equilibrio e si avvicina al telefono fisso, appena dietro le sue spalle.
“Mi perdoni, posso introdurle una candidata? Vorrei che lei la conoscesse”., bisbiglia. Non mi rivolge lo sguardo mentre attende assieme a me, capisco di essere in una posizione di forza, malgrado sia io alla ricerca di quell’impiego tanto importante.
Pochi minuti, lui è impacciato e sfoglia un blocco nuovo, cercando tra le righe bianche la propria bilanciatura. Io ho dimenticato le mie ciglia finta e il mio completo leggero, sento la schiena adattarsi alla spalliera e dimentico il collegamento alle mie origini.
Passi decisi si avvicinano, intuisco che siano quelli del mio futuro capo, tuttavia non sono pesanti, avanzano con sicurezza e mantenendo la stessa cadenza.
Mi appresto ad alzarmi per stringergli la mano, ho imparato che il primo impatto fisico vale ben più di mille preparazioni a un incontro.
“Sono Alessandra, piacere -Quando potresti iniziare?” la mano è ferma e i nostri sguardi allineati.
Il selezionatore, sorpreso di questa insolita intesa, si gode una partita di tennis i cui bulbi dei nostri occhi sono le palle che rimbalzano con un ritmo preciso. Nessuna delle due ha un’incertezza, è un match giocato con professionalità.
Alessandra indossa una maschera maschile, che nasconde però un mondo femminile rigoglioso, una specie di serra il cui ingresso è riservato a pochissimi visitatori.
Il nostro colloquio è formale, ma pare condotto in esclusiva per il nostro unico spettatoremaschile, per accondiscendere ai suoi schemi, e riconoscergli il merito di averci presentate.
Da qualche mese mia madre non riordina più i maglioni e ha smesso di inchinarsi per puntare spilli ai pantaloni di uomini borghesi, vive accanto a me e ha smesso di credere che il potere sia una prerogativa maschile.


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